Rispolverando i versi de “La città morta”, contenuta in “Da
qui” del 1997, si può candidamente risalire al fulcro centrale di “Aspettando i
barbari”:
“Salendo le scale
ci ha spaventato il silenzio
e qualcosa che pareva
un'attesa"
ci ha spaventato il silenzio
e qualcosa che pareva
un'attesa"
Vi è un'ottica del tutto oggettiva e rassegnata che prende il sopravvento una volta raggiunta l'età adulta.
Proprio nel momento in cui il nostro sguardo sul mondo - e
su ciò che ci circonda - prende questa inevitabile piega, la poesia della vita
va a farsi fottere, ingabbiata in un incessante e silenziosa attesa.
Uno stadio, questo, che indubbiamente Clementi & soci
avranno raggiunto da tempo, ma che tra i solchi di “Aspettando i barbari”
spunta fuori prepotente in ogni singolo antro, dai testi agli arrangiamenti,
fino a lambire le tinte sfocate e plumbee della produzione in studio, a questo
giro ben più pe(n)sata e lavorata rispetto al passato.
Volendo raccogliere l’ultima pietra di paragone gettata
dalla band emiliana, a differenza di “Cattive abitudini”, l’attesa dei barbari
cala un alone di freddo disincanto sulla poesia di cui Emidio Clementi è
portatore sano.
Tutto si fa più cupo, secco e affilato nella morbida mistura
di musica in versi a cui i Massimo Volume ci hanno abituati nel tempo, senza
mai disdegnare staffilate dure e pure, ma sempre intrise di una classe innata,
che qui prende i contorni di un disincanto quanto mai vivido e pregno di un
insostenibile e leggero cinismo.
In “Aspettando i barbari” questa classe resta immutata,
sempre grazie agli intarsi chitarristici del duo Sommacal/Pilia che riflettono
a pieno il mood oscuro e tagliente che aleggia nel disco, complementari nel
tessere trama e ordito melodico, senza mai sovrapporsi l’uno sull’altro, ma
costituendone a vicenda il proprio naturale prolungamento, in un gioco di botta
e risposta.
Dal semplice e sincero resoconto di “La notte” in cui
scivola via la conta dei feriti, passando attraverso il lamento di “Vic
Chesnutt” (dedicato, ovviamente, all’omonimo cantautore scomparso il 25
dicembre 2009), l’accorato racconto di “Silvia Camagni” o Buckminster Fuller in
“Da dove sono stato”, questa disillusione si fa strada tra le vite dei personaggi
stessi, portavoce di sensazioni e vicende condivise.
Così come nei disincantati versi de “La cena”, o
nell’apertura aspra di “Dio delle zecche”, la carica evocativa e immaginifica
resta sempre forte e compatta, “Aspettando i barbari” rappresenta la
manifestazione concreta di una band che non vuole assolutamente adagiarsi sugli
allori di una carriera (quasi) ineccepibile, ma che invece vive il proprio
percorso musicale attraverso la ricerca e scoperta continua attraverso le
stanze buie della coscienza.
Un buio ormai rassicurante che abbiamo imparato a conoscere
ed esplorare.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: La
Tempesta
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