“Ogni azione causa una reazione”.
Forse l’alluvione che colpì il paese natale Narzole, come tutto il sud del
Piemonte, ha segnato un precedente imprescindibile nell’immaginario dei
Ruggine, come se i quattro fossero da quel momento beneficamente condannati a
una forma espressiva feroce e inesorabile come una calamità naturale. Così, a
vent’anni esatti dal cataclisma, Iceberg
lo ricorda esplicitamente nell’artwork, indirettamente nella violenta esattezza
dei suoni e inconsciamente nella scrittura affilata delle liriche: il noise
modellato sull’impalcatura del math rock è percorso da versi essenziali e
icastici, che dimostrano come sia possibile sfruttare i mezzi espressivi della
lingua italiana senza piegarla all’emulazione dell’inglese; forse la
declamazione di scuola Massimo Volume è la soluzione, per uscire dalle gabbie
del bel canto o dell’imitazione ingenua.
La deflagrazione iniziale di "Babel" è una dichiarazione d’intenti incendiaria: una chitarra
inumana doppia la batteria, già di per sé poderosa; i testi si fanno largo
sebbene la voce non sia preponderante, in uno dei rari e positivi esempi in cui
la registrazione non porta alla ribalta la sola parte vocale. La tensione non
cala in "Raijin", plasticamente
irrigidita sul doppio basso che non concede tregua: una bilanciatissima
alternanza energica tra le frequenze prepara sul finale un’accelerazione da copione, che non scivola nel
prevedibile; una breve corsa sulle pelli precede un nuovo succedersi di rapide
con "Ashur", soffocante nella sua
reiterazione nervosa di chitarra e bassi. Gli arresti assumono fisionomia
fugaziana in "Daphnia": inseriti
nella struttura magmatica, preludono al rallentamento finale, che non stempera
ma acuisce il livore; il voltaggio si alza poi sui bassi sismici di "Siioma", mentre la declamazione inverte la rotta, scandendo
le parole con più lentezza. Poche note spiraliformi aprono una nuova finestra
sulla nevrosi con "Pangea",
proclama affaticato dalla gravità fisica ed emotiva dell’ammasso materico
strumentale; la brutalità è sempre strutturata su variazioni ritmiche, rigorose
e mai autoindulgenti, come in "Caio":
il tracciato è disseminato di polvere da sparo, pronto per l’incendio disperato
del finale. La voce sguscia volontariamente oltre la cortina strumentale e
scandisce le sillabe in "Pinup",
prima che si faccia largo la quiete sinistra di "Cds"; la nebulosa di sussurri artificiali perduti,
increspata solo da note su corde solitarie, potrebbe indurre a confidare in una
stasi conclusiva, ma si rivela ingannevole: il riposo in realtà prepara nuovi
fragori, che si liberano e poi implodono. L’episodio forse più dilaniato del
lavoro, strutturato su stop, rallentamenti e rincorse, si accascia infine
esanime sullo stesso giaciglio di crepitii inquietanti e folate notturne da cui
si è eretto, come un fiume che ripiega negli argini dopo l’esondazione.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: V4V/Escape Today/Sangue
Dischi/Vollmer Industries/Canadese Noise Records
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