Attraverso il corpo si compie
l’ascesi spirituale: non il corpo in quanto albergo delle passioni e dei vizi
ma, in senso mistico, quale luogo della rivelazione di Dio in Cristo e perciò
mezzo attraverso cui si compie il movimento inverso di ritorno a Dio da parte
dell’uomo. Questo compendio non è tratto dagli appunti per la mia tesi di
laurea, ma dalle note esplicative che Pieralberto Valli – voce, chitarra e
penna dei Santo Barbaro – acclude al nuovo lavoro Geografia di un corpo; la ricchezza e la precisione delle informazioni
incoraggia l’entrata in uno spazio mentale complesso e fitto di riferimenti ma,
allo stesso tempo, chiarisce forse troppo i moventi del disco e quasi esaurisce
il sotteso. Grazie a questa dottissima introduzione, sappiamo che le liriche,
lapidarie nella modalità espressiva, attingono all’immaginario dell’est europeo
relativo al movimento cristiano ortodosso dei pazzi in Cristo, e che le poche
giornate di lavorazione del disco hanno coinvolto nove musicisti uniti prima di
tutto dalla contiguità spaziale, in una sessione di registrazione in presa
diretta al Cosabeat Studio, in cui tutti hanno suonato contemporaneamente nella
stessa stanza, senza che interventi successivi abbiano “corretto” il materiale.
In bilico tra un orizzonte di
significati articolato e un suono efficacemente catturato, l’ottimo incipit Lacrime
di androide potrebbe essere assimilato,
senza troppe metafore, a una danza macabra in cui si affilano chitarre
argentee, segnata dal metronomo della batteria che reduplica il basso
inarrestabile; è il singolo che avrei atteso, soprattutto per il passaggio in
cui la voce si esaspera senza manierismi annunciando “Non ho mai amato e me ne
guardo bene”: è forse quindi Ferretti il Giovanni Battista che ha inaugurato
uno specifico approccio nei testi e nella declamazione nella musica italiana,
dando vita a un’eredità di epigoni più o meno volontari. Nel salmodiare
ipnotico di Pavlov affiorano
invece le reliquie degli esordi folk, prima che il finale sia di nuovo dominato
dall’implacabile spettro wave, preludio all’alternarsi consapevole di vuoti e
materia sonora in Cosmonauta,
figlia illegittima di Atmosphere
dei Joy Division; La necessità di un’isola rilegge Houellebecq in un taccuino essenziale di frustate di basso e
synth in codice morse, mentre nell’etere a maglie larghe di Zolfo si profila ancora il ricordo di Martin Hannett,
malgrado i sampler di carillon piuttosto convenzionali. Il singolo scelto è
invece Corpi non menti,
singolarmente affine al teso post-punk dei vecchi Diaframma di Libra: il muro di cinta del synth contiene le liriche,
enunciate in una metrica efficacissima con timbro vocale che potrebbe
appartenere a un Finardi catapultato negli anni zero e sottoposto a forzate
sessioni di ascolto dei Polyrock. Finché c’è vita ripropone una messa onirica in cui i suoni si
accumulano con ossequiosa discrezione, e le parole scandite sembrano volersi
assopire su loro stesse, prima che Ora il presente somministri una nuova benefica iniezione di scariche
elettriche e rapidità primi 80s. Il blocco conclusivo sembra essere strutturato
nell’intento di rivelare il motore nervoso del lavoro: l’ossatura del basso in Ti
cammino dentro sorregge prima uno scarno
connubio tra percussioni e voci, poi un impalpabile amalgama melodico, mentre
con efficienza serba la tensione sopita in Tra gli alberi; la linea ricorda persino i Morphine nelle
vibrazioni di In memoria di nessuno,
che definiscono i segnali liquidi e indistinti dei synth. Anche la voce è solo
una scia, che traghetta in un mantra semi-cosciente verso l’uscita dall’antro.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: diNotte Records
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