lunedì 15 febbraio 2016

Radford Electronics - Self-titled (Recensione)

Era solo questione di tempo prima che la cassetta tornasse a rivestire un ruolo di medium / supporto di registrazione di primissimo piano anche nell'underground musicale italiano, ed il lavoro di esordio dei napoletani Radford Electronics (dal medesimo titolo), così affascinante e, allo stesso tempo, così difficilmente catalogabile in uno specifico cassetto, è un lavoro che stupisce, in particolar modo, per la sua urgenza creativa e distruttiva: per la sua vicinanza al noise rock così come alla lezione primo-industriale degli Einsturzende Neubauten e dei Throbbing Grislte più atmosferici, al rock 'n roll più sporco e ruvido così come a certo gusto per l'invenzione e l'improvvisazione (che lo rende un lavoro piuttosto fuori dalle righe).

Il beatmaker Eks ed il chitarrista Aaron Rumore (un nome piuttosto simpatico e, allo stesso tempo, molto eloquente), sono i creatori di quelli che da alcuni potrebbero essere definiti come puri sprazzi creativi che, come da loro specificato, non sono stati rimaneggiati in alcun modo, frammenti di possibili brani qui incompiuti, ma è forse più interessante cogliere la loro estrema forza espressiva proprio nelle loro imperfezioni, nel loro essere dannatamente diretti e scevri da inutili fronzoli, eppure, è bene specificarlo, non si tratta di un ascolto così semplice, a ben guardare.

Come in ogni album in cui la componente noise è quantomeno più importante di un mero riempitivo posto sullo sfondo, moltissimi sono i dettagli e molto profondo e denso è il sottobosco che vi si cela al di sotto, ed è proprio sezionando questi momenti creativi e ascoltandoli in loop che si comprende la loro natura eclettica e fuori dagli schemi. C'è un legame molto forte, come ci insegna questo duo napoletano, tra la musica noise (nella sua accezione originaria, non nelle sue evoluzioni technoidi/distorte) e quella rock, ed è un certo carattere primordiale che è qui ascoltabile nei tremendi fendenti dissonanti portati a segno dalla chitarra così come nella bestialità delle ritmiche sporchissime che danno una forma più compiuta ad un flusso altrimenti indefinibile. C'è poi anche una cover dei Beat Happening, Bewitched, band che, non a caso, ha più di qualcosa a che fare col lavoro qui recensito: in questa tape c'è anche lo spirito beat di certi scritti avanguardistici di Burroughs così come c'è, nella scelta di evitare qualsiasi forma di editing dei suoni in fase di registrazione, un chiaro legame con l'istantaneità e il concetto di hic et nunc alla base degli happening Fluxus di Kaprow e dei suoi compagni di merende.

Da un punto di vista strettamente musicale, i brani dei Radford Electronics si abbattono sull'ascoltatore come delle masse in disfacimento, delle "pietre rotolanti" dissonanti e rumoristiche danneggiate dal tempo e da un logorio che è chiaramente ascoltabile. Il flusso sonoro ci arriva già deframmentato in Build an opera, lento e pesante noise rock stanco, così come nella destabilizzante Cocaine disaster, un brano che ha molto della musica primoindustriale, dei ritmi metallurgici, del found sound alla Neubauten, di certi squallidi squat e del down dato dal consumo massiccio di stupefacenti. Il brano trasuda disagio, esprime quella sensazione di "niente" di chi non ha niente da perdere. Ci pensa il già citato declamato rock 'n roll per sola voce di Bewitched a risollevare gli animi, rievocando i tempi del rock inteso dalle generazioni precedenti alla nostra, mentre con brani come Corpse ci si rituffa in scurissime e sporche ritmiche minimaliste e postindustriali tipiche di molte correnti di questo genere musicale, ma c'è qui anche ampio spazio dedicato alle chitarre dissonanti, ideali controparti dei soffocanti ritmi sopra descritti.

L'ottima Japanese junk food continua a mietere vittime con un andamento ritmico-noise nel quale riecheggia la dimensione tribale del ritmo percussivo così come lo sferragliante rumore dei treni in corsa, forse una metafora dell'alienazione e della fast life delle immense metropoli nipponiche. Dopo alcuni altri episodi davvero sentiti come l'eloquente Still here, che sembra rievocare il famoso raschiamento del fondo del barile, un brano che gioca con certa sperimentazione e ci restituisce una fisicità che neanche una chitarra potrebbe mai regalarci, l'altrettanto buona e fulminea Puking in the garden, che chiude un lavoro molto più che interessante, ci regala una esperienza intelligente (alla Warp-maniera), ma molto più fisica e concreta rispetto allo spesso vellutato suono di molte produzioni della pluriacclamata label inglese.

Che queste siano bozze o meno, se questa è la strada intrapresa dai Radford Electronics, ben vengano lavori di così grande interesse e dalle così originali potenzialità musicali, (sub)culturali e comunicative. Teneteli d'occhio.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Körper/Leib
  

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