domenica 20 marzo 2011

The Decemberists - The King Is Dead (Recensione)

Tiriamo fuori i pantaloni a zampa d’elefante anni 70 ed indossiamoli mentre ascoltiamo nel nostro walkman le cassette registrate dagli LP MURMUR e RECKONING…
Potrebbe essere questo il modo migliore per ascoltare l’ultimo disco dei DECEMBERISTS.
Io lo dico subito: a me piace da morire! Mi son ritrovato a canticchiare DON’T CARRY IT ALL e DOWN TO THE WATER, ma anche WHY WE FIGHT, mentre mi facevo la barba oppure la doccia…
Un disco che non aggiunge nulla alla musica rock ma che si gode come un bel prosecco (magari fatto in casa) da trangugiare insieme alle (immancabili) noccioline in una calda (ma non afosa) serata estiva.
Sembra quasi un compendio dell’american music, anche se il titolo strizza l’occhio e sembra l’alter ego di un disco degli Smiths (qui a morire è il re non la regina…) ed alcune inflessioni vocali di Colin Meloy sembrano quelle di Brian Molko dei Placebo; ma le similitudini con la “vecchia” Albione, per non sviare nessuno, si fermano qui, o quasi.
I 40 minuti del disco si aprono con DON’T CARRY IT ALL dove l’OLD MAN di Neil Young meets Tom Petty, con armonica, acustica, mandolini, violini che la fanno da padrone. Se il buongiorno si vede dal mattino… ma non è che l’inizio, credetemi!
CALAMITY SONG ci fa viaggiare a ritroso nel tempo, diciamo al jingle-jangle sound dei primi 2 album dei REM. Una outtake tratta dalle sessions di MURMUR oppure RECKONING.
Subito dopo tutto si acquieta. Entriamo in RISE TO ME dove a farla da padrone è la steel guitar e le intrusioni strappacuore dell’armonica. E ci si immagina già che dal vivo potrebbe far arrivare alle lacrime anche degli energumeni come i truck drivers di BLUES BROTHERS(iana) memoria. ROX IN THE BOX strizza l’occhio all’Irlanda, non quella “moderna” di Bono ma, piuttosto, quella più “classica” di Mike Scott and friends.
In crescendo si fa strada l’inno a Gennaio, JANUARY HYMN che fa il paio con l’inno a giugno, JUNE HYMN, che arriverà più tardi. 2 ballate a metà tra Dylan ed i 10.000 maniaci. I momenti più quieti e più riflessivi dell’intera opera.
Armonica più springsteeniana per introdurre THE ONE I LOVE…ehm…ehm.. volevo dire DOWN TO THE WATER, singolo perfetto che ti si fissa in mente e non ti lascia. Da un momento all’altro si aspetta Michael che spara il suo… FIREEEEE!
Continuiamo con l’enciclopedia musicale americana ed è la volta di ALL ARISE , un misto tra Lynyrd Skynyrd ed il John “Little Bastard” Cougar Mellencamp più “rustico”, diciamo periodo THE LONESOME JUBILEE.
WHY WE FIGHT è la mia preferita e, forse, la più “dicembrina” del mazzo. La voce di Colin che, su un tappeto “più rock” che in precedenza ed una bella chitarrona in evidenza, canta il testo più oscuro dell’intero album
And this is why
This is why
We fight
Come hell
Come hell
Come hell
Come hell
Il brano poi sfuma nella (quasi) ghost track cantilenante che lo chiude. Molto, molto bello…
A chiudere DEAR AVERY, dolce invocazione per Avery a tornare a casa. Ancora la steel guitar e i controcanti della dolce reginetta alternative country Gillian Welch.
Non fatevi fuorviare dai vari accostamenti ed ascoltatelo tutto d’un fiato. Provate anche voi a cercar di capire cosa vi ricorda questo brano o quell’altro ma, soprattutto, non fatevi troppi onanismi mentali e cedete alla freschezza di questo album. Buon ascolto.

Label: Rough Trade
Voto:◆◆◆◆◇

1 comments:

Sotterranei Pop ha detto...

concordo su tutto, credo sia soprattutto un disco di grandi canzoni.

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