mercoledì 6 aprile 2011

PJ Harvey - Let England Shake (Recensione)

Ok. Concentrati. Silenzio.


Provate a immaginare T.S. Eliot (quello della Terra Desolata) e Harold Pinter (i suoi scritti sono fra i capolavori del teatro dell'assurdo), Salvador Dalì e Francisco Goya, i Doors, i Pogues e i Velvet Underground. Da questo miscuglio di idee e pensieri estrapolate l'immagine di una donna ormai 41enne, proveniente dal Dorset, che negli ultimi 20 anni ha provato e sperimentato di tutto con la musica. Ecco, ci siete quasi... aggiungete un po' di atmosfera, qualche candela, un po' di pensieri negativi su questo mondo, qualche pensiero alle guerre di oggi, l'Inghilterra. Ecco. Questo è LET ENGLAND SHAKE, ottavo album in studio per l'inglese PJ Harvey.

Ormai la conosciamo per le sue sperimentazioni. Dal primo lavoro, DRY (1992) che l'ha fatta emergere, al secondo lavoro , RID OF ME (1993), prodotto da Steve Albini, agli innumerevoli album prodotti da John Parish. Ogni suo album è qualcosa di nuovo, è un reinventarsi (ricordiamo WHITE CHALK (2007) dove Polly abbandona la chitarra e si dedica a strumenti mai suonati prima : pianoforte e zither) dalle chitarre sporche alle atmosfere cupe date dall'uso dell'elettronica (IS THIS DESIRE?, 1998).
Ed eccola finalmente arrivata al suo lavoro più maturo. Due anni e mezzo di stesura dei pezzi, cinque settimane chiusi in una chiesa del Dorset per una registrazione in presa diretta con gli ormai fidati compagni di viaggio (John Parish alle chitarre e alla produzione, Flood alla produzione e al mixer, Mick Harvey alle chitarre e basso e Jean-Marc Butty alla batteria). Dodici brani, trentanoveminutiequarantasecondi di amore, odio, riflessioni sull'Inghilterra di oggi e di ieri, sulla guerra... Chitarre leggere, batterie minimali, tastiere di sottofondo che creano molta spazialità, la solita voce inconfondibile. Polly Jean riporta sempre all'introspezione anche quando parla del mondo che ci circonda. Quella che conosciamo per i suoi concerti rock sui palchi di tutto il mondo, si fa poetessa e ci chiede di fermarci un attimo a pensare. Ma non mancano anche in questo album i pezzi più rock, dove PJ sfodera il suo nuovo acquisto, una Eastwood (la chitarra che usa anche Jack White degli White Stripes) e ci fa sentire il suono delle sue corde. Questo è un album acclamato dalla critica ancora prima della pubblicazione (NME 10/10, The Guardian 5/5, Financial Times 5/5, Q 5/5, BBC 9/10, Spin 9/10, etc...), un album che tutti dovrebbero ascoltare di questi tempi. Riporta alla sobrietà dei suoni senza ricadere nel banale e nello scontato. La bella Polly, come ha operato anche per “White Chalk”, e grazie anche all'aiuto dell'amico John Parish, mira alla semplicità sapendo però dare la giusta rilevanza ad ogni minimo particolare facendo così diventare LET ENGLAND SHAKE un album che verrà ricordato.
Da ricordare anche il progetto video collegato a questo album. Pare che Polly Jean, dopo aver visto una mostra fotografica sull'Afghanistan di Seamus Murphy , lo abbia contattato affascinata e interessata a parlare con lui della sua esperienza della guerra. Come si sa, da cosa nasce cosa, ed è quindi nata una collaborazione tra i due. Il fotografo e film-maker si è messo all'opera girando per l'intera Inghilterra filmando tutto quello che vedeva e creando poi 12 videoclip, uno per ogni canzone dell'album in questione .
Che altro dire? Le parole difficilmente descrivono la musica, quindi correte a comprarlo (è uscito il 14 febbraio). Amatelo, usatelo, vivetelo, condividetelo, suonatelo, cantatelo, ballatelo e buon ascolto!

Label: Island, Vagrant (U.S.)
Voto:





*Un doveroso ringraziamento al blog la vendetta sghignazzante di Jack per il quale la recensione è stata scritta!

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