Spogliato dei mascheramenti sotto l’egida Duckworth Lewis Method, Thomas Walsh ed i suoi Pugwash, incitati ed eccitati dalle favorevoli critiche di mezzo mondo e con in alta rotazione il video dell’efficace Dear Belinda (con Ben Fold), e che li acclama come nuovi eredi degli XTC, con questo nuovo appuntamento discografico “The Olympus Sound” dimostrano d’avere tutte le carte a posto per sfondare veramente.
Guidati da una forma stabile di metodo sonico, la band irlandese da vita ad un pop-indie melodico e ruffiano che respira le arie innocenti dei Beatles – tra tutte “Answers on a postcard” e “See you mine” - tocca psichedelie d’aree Floydiane inconfessabili “There you are”, fa grattini rock e si lancia goliarda in coretti surf/doo-wop che fanno una musica bestialmente rinvigorita con un upgrade immaginifico direzione “sisteen world”; dodici canzoni manifesto d’intenti verso un futuro prossimo in cui la formazione è destinata a combinare cose grosse, una realtà pregna di rievocazioni compatte e carezzevoli, qualche contrasto fine, impercettibile, ma peletti di poco conto davanti alla potenza di un’orecchiabilità che in meno di una mezz’ora trasferisce all’udito la spensieratezza di un sound intelligente e ben pigiato.
Il profumo beat è onnipresente e lontano da quella saturazione Gallagheriana dei primordi, ottima l’ispirazione velata traghettata dagli Electric Light Orchestra “Be my friend awhile”, “To the warmth of you” carica di archi zeffirati e quella da Sir Paul McCartney dell’era Wings “Here we go’round again”, e poi è tutto emblematico: al primo ascolto il disco sembra esistere già da tempo nella memoria e si lascia cantare che è un piacere diabolico; con tutte queste premesse, i Pugwash sembrano essere una di quelle formazioni che vive di rendita stilistica o quantomeno musicalmente troppo volubile e in certi casi dispersiva, ma è tutto il contrario, magari manca qualche chitarra Silverton ed un po’ d’amplificatori valvolari, ma è tutta una “storia” di vero talento, un “ritorno al futuro” che esercita un ruolo dolce, potente e prepotente che ti gratifica l’anima con il soffio di un kazoo che svisa e un mellotron che si fa indù in “15 Kilocicle tone”, solleva lo spirito con l’andatura Southern “Dear belinda” fino ad aprire le finestre degli occhi e guardare il cielo con un fiore in bocca e tanti doo-wop a fare compagnia “Such beauty thrown away”.
Senza falsi eufemismi, uno stato di grazia dalle sembianze di cd che gira all’infinito con una dote che manca a moltissimi altri dischi che circumnavigano il mercato: l’onestà, la semplicità e la classe dei fuoriserie, abbondiamo, dei Numero Uno!
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: 1969 Records/Emi Ireland 2011
1 comments:
La più grande band degli ultimi 15 anni... Andy Partridge dixit!
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