Sia Sic Alps che Dum Dum Girls li conoscono bene, mai gruppo come questi Mazes ha fatto worm-up calorico ai loro live frequentatissimi, mai una forza sconosciuta aveva portato in ebollizione il loro pubblico scalmanato a dovere e a temperatura di “mosto”; da Manchester questo giovane trio formato da Jack Cooper voce e chitarra, Conan Roberts al basso e Jarin Tabata alla chitarra, tre musicisti che ad un certo punto - visto il successo live delle loro “prestazioni” a band di pochi anni più grandi di loro – si pongono una domanda saliente: perché non provare a fare un disco pure noi? Ed ecco la risposta, “A thousand heys”, scaramantiche tredici tracce sparate a raffica, forti di una genuinità e di una devozione verso gli Ottanta, Vaselines e Go Betweens – spirito immolato nella prima traccia del lotto – come un’avventura prettamente giovanile, magari con qualche sincretismo slabbrato ma con la voglia intatta di starci dentro e girare la ruota della fortuna e perché no, farci su dei soldoni.
Nulla di nuovo intendiamoci, ma un filato sonico in cui sbomballano felici anche Blur, brit pop, spore di Pavement, qualche ciuffo ribelle alla Superchunck e la travolgenza dei Buzzcocks, un’insalatona efficace che fa piacere ascoltare e che ti schizza adrenalina in faccia come uno scherzo tra amici; melodia, irriverenza e affidabilità orecchiabile al 100%, un disco ostentatamente carino, fresco come un gelatino di primo pomeriggio, elettrico come un farsi la barba all’una del mattino. Hanno un buon senso della scrittura questi Mazes, leggermente molli di quell’eclettismo tutto inglese che fa trend e vogue tra le intercapedini del brit-pop ma che lasciano segni riconoscibilissimi di un’inconfondibile smania di avere una personalità tutta loro, senza essere attaccati a questo o quello come scotch per fotografie.
Tutto gira intorno a due pezzi che fanno carato nell’intera tracklist, “Go betweens” e “Death house”, stupende motivazioni per avere questo cd tra le cose migliori ed urgenti da acquistare subito, ma non vanno prese sottogamba nessuna delle altre che tra il pizzico brit-surf di “Summer hits or J+J don’t like”, la bella elettricità alla Lemonheads “Bowie knives”, il passaggio indoor di “Eva” e il twist leggero che muove le chiappe in “Cenetaph” fanno pronostico vincente a questa band inglese che rappresenta sommariamente la cifra stilistica di un qualcosa, di un sentore acuto che prima o poi – una volta pagate le cambiali ispirative – piomberà tra di noi come una nuova cometa cui assegnare un nome ed uno spazio idoneo.
Voto: ◆◆◆◆◇
Lebel: FatCat Records
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