Il mio ascolto di "The SMiLE Sessions", ormai "ex-baluardo" dei dischi mai pubblicati, comincia da "Strawberry Fields Forever", celeberrimo singolo uscito all'inizio del 1967 a marchio Beatles. Leggenda vuole che proprio il pezzo dei FabFour, ascoltato per caso durante il periodo di ultimazione di "SMiLE", sia stato il motivo scatenante del raptus di follia che portò Brian Wilson alla distruzione di un album ormai completo che, in un futuro imminentissimo, sarebbe dovuto diventare il naturale e ambizioso seguito di "Pet Sounds". Col senno di poi, e con qualche dose di acido lisergico in meno che avrebbe probabilmente abbassato il livello di impulsività del nostro Brian, "The SMiLE Session" (all'epoca intitolato "Dumb Angel", solo in seguito ribattezzato "SMiLE") avrebbe potuto seriamente creare uno scossone nel panorama musicale; detto questo, quel che è fatto è fatto e ci ritroviamo qui, 44 anni dopo la dichiarazione ufficiale della mancata uscita del disco (6 maggio 1967), con un "supercofanettone" tra le mani (5 dischi e scatola illuminata per la versione deluxe) a chiederci cosa sarebbe successo se quell'album avesse fatto davvero parte (attiva, si intende) della storia. Quel che è certo è che oggi, l'uscita di "SMiLE", suona per lo più come un déja-vu tramandato di generazione in generazione, un "al lupo" continuo privato ormai della propria efficacia, un piccolo "cadeau per affezionati" che, guarda caso, esce proprio allo scoccare dei 50 anni di attività dei ragazzi da spiaggia. Già qualche anno fa, dopo la delusione di "Smiley Smile" album collage uscito alla fine del 1967 per dover di contratto, un redivivo Brian Wilson aveva formalmente portato a termine l'opera di resurrezione dell'album perduto (Brian Wilson presents: "SMiLE", 2004), re-incidendo ex novo, senza l'apporto dei fratelli Dennis e Carl (r.i.p.) e del cugino Mike Love, tutte le tracce concepite 37 anni prima e lavorando ai suoni come se il "parto discografico" non avesse avuto una gestazione di quasi 40 anni, ma di qualche mese appena. Risultato: un album dal suono patinato, che solo lontanamente evocava i Beach Boys che tutti conosciamo. "The SMiLE Session", a quanto pare, è la cosa più vicina a quello "SMiLE" che, in una vita parallela a questa, avrebbe certamente creato un punto di svolta nella storia della musica. Tralasciando i 4 dischi aggiuntivi (uno interamente dedicato alle versioni alternative di "Heroes and Villains", uno contenente "prove" e "takes" ripescate dalla lavorazione di "Good Vibration" e i restanti 2 in cui si percepisce l'eterna indecisione di Wilson e compagni in preda ad una vera e propria ossessione da "eterni secondi" che li portava ad apportare continue manipolazioni strutturali, anche minime, alla ricerca di una forse irraggiungibile chimera della perfezione discografica) la tracklist di "The SMiLE Sessions" si presenta quasi invariata rispetto alla versione solista di Wilson. L'introduttiva "Our prayer" e la successiva "Gee" ci fanno intendere fin da subito le parole del leader del gruppo che durante i mesi precedenti all'uscita del disco, quando la pubblicazione sembrava essere sicura come sicura sembrava essere la possibilità di surclassare i rivali d'oltre oceano, dichiarò che il disco si presentava come "A teenage symphony to God". Gli intrecci vocali angelici uniti alle digressioni psichedeliche, all'utilizzo di strumenti non convenzionali (il theremin su tutti) e ai testi criptici di Van Dyke Parks (compositore poliedrico mai visto di buon occhio dagli altri "Boys") ci accompagnano per tutto il disco tra le celeberrime "Heroes and Villains", "Surf Up" e "Good Vibration" ("ripescate" e pubblicate negli anni successivi), fino alle ambiziose prove sperimentali di "The Elements: Fire", un viaggio lisergico nel quale Wilson, in preda alle visioni psichedeliche durante la fase di registrazione, obbligò tutti i presenti a indossare un copricapo da pompiere, e "Vega-Tables" in cui l'accompagnamento ritmico concreto di fondo è affiancato da una ripresa minuziosa di verdure percosse e masticate. Il mix monofonico e la ruvidità impagabile delle sessions datate 1966, ci lascia credere per un secondo di essere ancora nel bel mezzo della corsa sfrenata alla leadership musicale contro i rivali/amici FabFour, ma basta riaprire gli occhi per rendersi conto che nel frattempo la storia ha compiuto il suo corso e, a quanto pare, nel bene e/o nel male, i Beach Boys non si sono mai mossi di li, un'intrigante Monna Lisa dal valore inestimabile, carica di mistero, con stampato in faccia un Sorriso mai pienamente espresso.
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: Capital
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