Un pò Jack White maledetto ed un pò ossesso nipote di un qualche diavolo che potrebbe rispondere al nome di Mississippi Fred McDowell; è il giovane texano Lincoln Durham che attaccato alla sua Gibson del 1929 da fuoco al suo primo album “The Shove vs The Bowling Bones”, il condensato di un talento fuori delle righe, acido come un cantos da woodoo e sublime alla pari di un rapporto sessuale al culmine della goduria, undici tracce roots sporche maledette e subito di blues laido del Delta, strisciato, sbavato e contaminato in qualche parte minore da un country Creedenceano “Love letter”, ma sono pagliuzze d’oro dentro un fiume in piena e che grazie alla sua vecchia chitarra suonano di un meraviglioso vintage che fa accapponare la pelle.
Durham canta della disillusione, della solitudine e della depressione sociale che amareggia molti dei pensieri di un America minore, nazione di svantaggiati ed esclusi che roteano fuori o ai bordi di un sistema falsato, ed è un’amarezza che l’artista sfoga anche attraverso una stupenda voce rotta e sabbiosa, voce nera ed inquietante che porta l’ascolto di questa sua “prima volta” a livelli stratosferici fintanto che non ti senti fradico e puzzolente di limo e paludi di Mississippi fino a lasciarti portare via tra i suoi gorghi divinatori.
Emozioni tribali “Muddle puddles”, l’inquietudine stompin’ blues che trema in “Drifting blues”, Robert Johnson che benedice il mid tempo di “Reckoning lament” , il bellissimo caracollare leggero a cavallo di una poesia country-folk acustica “Clementine”, il gospel rurale e magico “People of the land” o l’anima selvaggia che canta ad una luna piena “Georgia Lee”, fanno di questo disco un’ opera di spessore, non una ricalcata di stilemi logori, ma una precisa rivalutazione del ghigno del Diavolo del Blues, preso da angolazioni e spifferi che lasceranno a bocca aperta vecchi e nuovi aficionados del genere; con Durham a condividere questa sana malattia Derek O’Brian e Ray Wylie Hubbard alle chitarre, Rick Richards batteria, Bukka Allen piano ed accordion e Jeff Plankenhorm al banjo e mandolino e di nascosto, nell’ombra d’amplificatori roventi, il respiro d’alcol del Texas, slide lussuriose e Satanasso Devil , che in questa occasione non si è solo prodigato a fare pentole, ma il furbastro ha fatto anche i coperchi.
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: Lincoln Durham
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