giovedì 1 marzo 2012

Maybe I’m - Homeless Ginga (Recensione)

Maybe I’m  - Homeless GingaImpareggiabile duo casinaro from Salerno questi Maybe I’m, strampalati musici avvezzi a frequentare le forti discendenze che derivano dal noise primitivo, terragnolo e da stupende istantanee folk-blues di quello ubriaco e alla costante ricerca di un sostegno per reggersi i piedi tra melodia e tribalità; Devendra Benhardt e Ramona Còrdova farebbero carte false pur d’avere qualcosa da spartire con questi due session men allucinati dalla disinvoltura naif e bislacchi operatori di un disco, “Homeless ginga”, che è una scheggia di nove tracce d’un coraggio unico in Italia; si farebbero proprio numeri perché in quanto attitudine con i personaggi citati qui a girare insolente ve n’è molta e se si considerano le nove tracce come un incubo modificato ad ossessione, allora il cerchio quadra al millimetro.

Antonio Marino voce, batteria, percussioni e ciaramella, Ferdinando Farro, voce, kazoo e chitarra elettrica/acustica, sono le simpatiche canaglie che agitano questo loro secondo esperimento atropinico ( dopo il precedente We Must Stop You), felicemente disadattato e che, a furia di stalking al tasto repeat, si fa anche bello nella sua obliquità estrema del suo alt-blues nero come un corvo accasato nelle pupille torve di Cave; stimolazioni western, zolle di casa e la spiritualità recuperata nella ruvidezza di un lontano Captain Beefheart, sono i dosaggi giusti per questa overdose di ritmiche convulse, latrati, urlo punk e stompin’ folk da neurodeliri , un disco che non si fa mancare nulla circa la volontà di stupire con la sola forza e dominazione del rumore e di una visione capovolta del Mississippi del Mali.

Isterico, glorioso, incantatore e corrosivo come un brandy in vena, HG è il disco delle non regole, dell’ispirazione anarchica di un Tex Willer che infinocchia uno Zagor dentro una fantasia mescolata al dispetto per le cose studiate, una voce cavernosa da vecchio vaccaro invasato dai Pentecostali dell’Illinois che si fa largo - a fatica – tra la cheerleader march primaverile “Third lemma”, tra i cerchi magici e indiani che si formano in “Song of three lands”, dietro le sparate elettriche e di violino “Armonica and Cheyenne”, attraverso i cori allampanati sopra una zampogna “Slaves from another world” o al fianco di una timbrica becchettata che si fa funk-folk come fosse un raduno di corsari prog alla corte dei sultani Gong Terzigno”; il risultato? Quello che all’inizio poteva sembrare una bagarre sconclusionata, si rivela un geniale segnale di rivolta creativa, un retro-futurismo visionario da pappare golosamente e, se ci scappa qualche danza strana e dinoccolante, ci sta dentro tutta.

Della serie: Maybe I’m, se non son matti non ce li vogliamo e, a noi , i matti ci piacciono da “impazzire”!

Voto: ◆◆◆
Label: Jestrai Record

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