giovedì 14 marzo 2013

The Men - New Moon (Recensione)

Scorrendo le biografie e scovando cognomi inequivocabilmente esotici, la mia infaticabile attitudine all’indagine inutile non ha esitato a stabilire un legame d’origine tra i The Men e la più nota cricca di italo-americani partorita dal generoso grembo di Brooklyn, il combo di doo-wop bianco Dion & the Belmonts, capeggiati dall’imperituro Dion DiMucci. E le prime note di New Moon mi inducono a sospettare che i nostri cugini d’America siano accomunati da una predilezione singolare per le armonie vocali catchy e agrodolci, cesellate con noncuranza e senza disdegnare una moderata dose di autocompiacimento.

New Moon, però, è un’opera che ambisce ad uscire dall’isola dopo aver mosso i suoi primi, ingenui passi: l’elemento maudit newyorkese viene dissolto da una tensione all’apertura campestre, alla contemplazione rapita di crepuscoli polverosi che si dileguano oltre l’orizzonte inarrivabile. L’incalzare country‘n’roll di "Half Angel Half Light" sposta le coordinate del viaggio verso territori impervi, tramutando l’indolente strolling da marciapiede in una corsa implacabile arrostita dal sole della prateria. Il ritmo costante viene deliberatamente slabbrato in improvvisi fragori disorganici, scombinati da un’eclatante disperazione in "Without A Face", trascinata dal richiamo selvaggio e furibondo dell’armonica. Abbiamo varcato i pericolosi confini della riserva Gun Club, abbandonando però in territorio neutrale la desolazione esistenziale di Jeffrey Lee Pierce. Tentazioni melodiche e chitarre allo sciroppo d’acero isolano spazi di quiete in cui la tensione è sospesa in una tregua improvvisa: il tex è separato risolutamente dal mex, capovolgendo la minacciosità voodoo in esasperazione emotiva. "I Saw Her Face" è paradigmatico archetipo della struttura compositiva ondivaga, che sorregge l’intero lavoro, e dei saliscendi dinamici in cui il frastuono più saturo si alterna a un sottosuolo di fruscii stropicciati.

Lo skyline newyorkese si profila come destinazione di ritorno, in prossimità dell’epilogo del viaggio, nella frenetica, sgangherata e infaticabile accelerata di "Electric". Ma la tabella di marcia concede ancora tempo per indugiare in terre aride e impervie con il vortice sconquassato di "I see no one" e il pop scomposto di "Freaky", prima di venire definitivamente risucchiati nel ventre della metropoli: la claustrofobica allucinazione di "Supermoon" scaraventa in un labirinto chitarristico di ossessione lancinante, che annienta il peregrinare compiuto confondendo l’orizzonte, per piombare incombente e chiudersi infine come un sarcofago.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Sacred Bones

2 comments:

Claudio C. ha detto...

nulla di nuovo all'orizzonte;..dopo vari ascolti posso dire....una gran cafonata come al solito "molto rumore per nulla" I Gun Club...non si dovrebbero neanche nominare.

Anonimo ha detto...

i gun club si nominano eccome se il suono a cui una band tenta di avvicinarsi è analogo a quello dei gun club. nessuno ha detto che il risultato siano i gun club, che io adoro. angie

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