Mi sono imbattuta nei Sadside
Project oltre un anno fa, trascinata a un concerto in cui la presenza di
Roberta Sammarelli dei Verdena veniva spacciata come unica attrattiva. Ma,
sebbene la folla postadolescenziale rivolgesse tutta la propria devozione alla
più nota bassista, il garage-blues insieme robusto e sognante del duo romano si
era saputo imporre alle mie ciniche orecchie come sorprendentemente
convincente.
Mi aggrego quindi senza
esitazione alla ciurma scomposta pronta a salpare nel nuovo lavoro Winter
Whales War, assoldando tra i vari compari occasionali la stessa Sammarelli,
Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Alberto Mariotti e Wassilij
Kropotkin dei King of the Opera. Solcando distanze atlantiche a vele spiegate,
seguono la rotta di un blue-eyed & b scomposto e chiassoso, approdando a
più inconsueti lidi con un folk agrodolce, pervaso da nervature di psichedelia
discreta e mai ridondante.
L’arrembaggio inizia spavaldo con
il fragore indolente di "Same Old Story", che espone da subito caparbia la
fisionomia sonora di questo turbolento e frastornato diario di bordo: la
dolcezza impolverata del cantato è incastonata e quasi occlusa tra il volitivo
e risoluto pestare della batteria e il compatto clangore chitarristico. Ma la
corrente si placa all’istante e si veleggia placidi sospinti dalla brezza di "My
Favorite Color", che soffia sospesa tra noncuranza dylaniana e sgangherato
incalzare da bettola sudicia; il piglio ritmico si dissolve nel nostalgico
doo-wop di "1959 (The Last Prom)", inatteso affresco teen, perfetto per smarrirsi
in interminabili baci sulla porta di casa.
La navigazione accelera appena
nel blues rurale e melanconico di "This Halloween Is Over", che deraglia in un
vociare di marinai sbronzi, preludio all’energico blocco centrale:
dall’irresistibile, delirante garage di "Edward Teach Also Known As Blackbird",
costeggiando approdi segnati da un sordido colare notturno "(Nothing To Lose
Blues)" o da sbilenche esaltazioni contaminate da malcelata inerzia "(Hold
Fast)", sino a raggiungere l’attracco confortevole del singolo "Molly",
evanescente serenata increspata di sature distorsioni.
Il porto di destinazione è
edificato tra il bizzarro e trasognato folk dell’acustica "Sloop John B", che
trasforma l’originaria, sfavillante spiaggia dei Beach Boys in un litorale
solitario, e il cullare della conclusiva title-track: l’evidenza dell’arpeggio,
che traccia intrecci secondo la lezione di Nick Drake, è la lira ininterrotta
che guida la monodia recitativa nel disperdere i versi di Walt Whitman, donati
come eco ininterrotta al lontano canto di sirene che replica in lontananza.
Voto: ◆◆◆◇◇
Bomba Dischi/Audioglobe/Rough
Trade
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