mercoledì 15 maggio 2013

The Bermudas – Bad Luck (Recensione)

E’ un terremoto inaspettato, alla faccia di tutte le scale sismografiche e dei loro grafici crestati; tornano a tuonare, dalla Liguria, i rocamboleschi The Bermudas, trio epilettico all’insegna dello scompenso cardiaco e del fiatone lunghissimo con il nuovo disco “Bad Luck”, più che un disco una iniezione di Cardiastenol direttamente in vena, dieci tracce al fulmicotone più una hidden track che si contendono a spintoni lo spazio per le interazioni più sfrontate di Rock’N’Roll, punkbilly, surfing e le sclerotiche fumigazioni del garage per non parlare delle infinite modulazioni in FM che queste tracce “violentano” facendosi ruffiane canaglie con palinsesti da occupare.


E’ come avere a che fare con la scatenata selezione di un Juke-Box Rock-Ola trasportato nel tempo odierno, una sequenza di brani che senza divagazioni o tentazioni, frenetizzano e sconvolgono i vecchi cataloghi underground con un sound senza tempo, che per molti detrattori sembrerebbe ancorato ad una mera funzione d’intrattenimento e basta, quando invece è portatore anche e soprattutto di controcultura e storia, ma senza addentrarci in disquisizioni e riferimenti, quello che vortica tra le tracce è un’energia da ballare tutta d’un fiato se si arriva alla fine; una tracklist che fa intuire una potenzialità che si rifà agli anni fine Sessanta primi Settanta, i ritmi Tarantiniani “La donna per me”, le balere lungo i bagnasciuga “Taggami”, una capatina tra le fogne Garage di una Detroit fumosa che vive nella titletrack e più in la un salto nel beat turbolento della bella “Elettrochoc”, traccia in tremolo di chitarra e diamante dell’intero lotto.


Claudio “Klaus” De Franceschi voce/chitarra, Maurilio “Kikko” Giannini batteria e Angelo “Ange” Demaria al doublebass, basso e backing vocals, sono diavoli generazionali che suonano la pulsione di più di una generazione indietro e la riportano in un epoca di grande rivalutazione, il loro non è puro esercizio di stile, ma passione elettrica e seduzione amplificata che non da tempo per respirare e men che meno modo di confondersi con altro mentre il disco ruggisce, gratta e svicola attraverso i woofer, poi con la bomba riletta di “Mexican Radio” degli americani Wall Of Voodoo e lo slanguidamento mex di “The Queen of the road” il disco va in fiamme, fiamme di vibrati e calde nostalgie di tempi persi chissà dove, e quello che rimane sul piatto è una voglia, ma che dico, una maniacale persecuzione che il repeat dovrà subire per molto, ma molto ancora.


Voto: ◆◆◆
Label: Autoproduzione 

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