Musica che non si rassegna di essere solo musica come siamo soliti afferrare, altro che prendersi il tempo per inghiottire un secondo d’ossigeno, questa “compagnia” sonora campana, VictorZeta e i Fiori Blu con il disco d’esordio Dans La Rève, danno l’idea precisa di una band anfetaminica che non si accontenta di fare il solito giro a tracklist, la solita giostrina registrata che può piacere o meno, ma applicano all’ascolto accordi, ritmi, stili e approdi con l’audacia di un compattatore, punteggiano melodie guizzanti, con una precisione invidiabile, si divertono a sparigliare i classicismi del folk, rock, cantautorato, i respiri Balcanici e le convulsioni del rap, letteratura e chi più ne ha più ne metta per riempire un ascolto divertito e a suo modo “stravolto”.
Perfettamente non allineati con le soluzioni modaiole o perlomeno di quella tendenza latentemente trendy, la formazione campana sciorina ben tredici brani per una espressione mixata di gran lusso, una forza integrante e colorata che sembra un juke-box personalizzato dove attingere musica per ogni stato d’animo che l’ascoltatore passa in quel dato momento, un dispenser sonico e lirico che si fa stile e stilosità nel contempo; il senso teatrale si respira fino al millimetro di ogni movimento, la romanticità di una scaletta che azzarda vincendo al primo turn è forte e, anche se la formula base non è che sia prettamente inno all’innovazione, conferma talento nell’imbastire una tutto sommata opera del “gesto sonoro” da tenere inchiodata nella memoria.
Parole sagge e parole volanti, suoni e marachelle poetiche sono la cifra interpretativa, Mediterraneo e venti oltre cortina danzano, gioiscono, pensano e zampettano in un palcoscenico virtuale dove gli arrangiamenti ed il sangue vivo marciano su una via preferenziale, un disco agrodolce che è passione e vita vera al quadrato; tra le chicche da cercare in questo baule strapieno di viaggi e storie l’amarezza in levare che ciondola in “Nuove strade”, la mosca che ronza dispettosa nello ska-folk di “Sciami”, il senso Tarantiniano d’un tango languido “Lascia che mi lasci andare”, l’ombra sausalita casalinga e curinaria di “Zacapa” come lo spiritello di Gaber che si muove sopra il ronzino blues della rivisitazione di “Shampoo” del grande ed indimenticabile artista milanese, poi tutto quello che gravita oltre è una sorpresa per dilatare le trombe d’Eustachio.
Ottima prima volta per i campani, e la conferma – se mai ce ne fosse bisogno - di una ulteriore bella pagina di nuovo cantautorato.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Autoproduzione
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