Quando uscì Noha’s Ark, sembrava che il folk newyorkese da fiabesca
filastrocca finto-stracciona dovesse affermarsi come una delle forme espressive
destinate a guidare i primi vagiti dell’avanguardia musicale del nuovo
millennio. Ma se gli altri convenuti al cerchio magico radical-chic, come
Devendra Banhart o Joanna Newsom, hanno saputo confermare un talento e
un’ispirazione credibili, seppur discontinui, le sorelle Casady hanno
alimentato più di un dubbio sull’autenticità della consistenza creativa che
apparentemente soggiaceva a quella prova ormai risalente a otto anni fa.
Dopo due episodi eufemisticamente
poco convincenti quali The Adventures of Ghosthorse & Stillborn (2007) e Grey Oceans (2010), subisco l’ascolto del nuovo lavoro con
un’indifferenza solo a tratti scossa da istanti di fastidio o improvvisi
sussulti di curiosità. Il corteggiamento di sonorità trip-hop rivela una vera e
propria passione antiquaria, nei confronti di un genere che magicamente suonava
già vecchio alla fine degli anni Novanta; l’impressione generale è di assistere a un
esercizio di maniera, ridotto a recupero degli scarti decennali di avanguardie
ormai non più tali poiché assurte al rango di classici, come i tintinnii
glaciali e le pulsazioni interrotte di "Child Bride", che furono marchio di fabbrica di Bjork. Il
contributo di Antony non concorre a nobilitare l’attitudine ordinaria del
lavoro, e non solo per la mia particolare avversione verso la voce
affettata e melò del pingue ex pupillo di Lou Reed, ma per l’evidente
convenzionalità di un’interpretazione professionale e perciò superficiale.
Ciò che disturba non è tanto la
perdita dell’elemento alt o avant come prefisso del nucleo pop, qui
evidentemente dominante, quanto la scelta consapevole dello stereotipo quale
stilema stilistico: la ricerca esplicita di un suono accattivante e
intenzionalmente estroso scivola inevitabilmente nella compiacenza dell’innocuo
sottofondo da spot pubblicitario. Le sorelle padroneggiano mezzi espressivi raffinati
con cui tentano di ammaliare prestando attenzione però a non destabilizzare; se
è la blanda persuasione quello che vi aspettate, se cercate una colonna sonora
adatta mentre scegliete la nuance delle tende da abbinare alla sfumatura del
battiscopa, potreste anche essere
soddisfatti dall’innocua grazia di Tales of a GrassWidow. Io, continuo a rifuggire dal confortevole.
Voto: ◆◆◇◇◇
Label: City Slang
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