Dall'esordio del 2011 ad oggi, di acqua sotto i solidi e giovani ponti dei Be Forest ne è passata davvero molta a velocità inarrestabile.
Dal piccolo tour di spalla agli ormai compagni Japandroids - di cui hanno coverizzato splendidamente “I Quit Girls”, contenuta in un 7'' a cui fa da contrappunto “Hanged Man” - passando per il side-project Brothers In Law, vero e proprio prolungamento per la chitarra di Nicola Lampredi, e il cameo di Costanza Delle Rose in “Nome” degli Altro (per cui Baronciani scrisse le note di copertina di “Cold”), fino al premio come migliore band esordiente per la Targa Giovani MEI del 2011.
Una manciata di anni impegnativi e movimentati, da cui deriva la gestazione e il parto di questa temuta seconda prova discografica.
Sempre spalleggiati dalla fidata We Were Never Being Boring, “Earthbeat” tenta (fin dal titolo) di tornare alla terra per allontanarsi dal mero revival new wave, acquisendo linguaggio e padronanza dei mezzi tesi verso una rilettura personale della materia.
Assimilata dunque la fredda lezione degli '80 più torbidi e riverberati, in “Earthbeat” lo spettro sonoro del quartetto pesarese (al trio originario s'è aggiunto Lorenzo Badioli ai synth) si apre maestosamente verso lidi terreni, arricchendosi di nuovi elementi che infondono scura linfa vitale , qui intarsiata di flauti, arpe e percussioni ataviche che ne amplificano il raggio d'azione.
Se le chitarre ridondanti di echi e distorsioni rimangono un marchio di fabbrica ormai saldo e riconoscibile, assieme agli intrecci vocali femminili e quell'aura sbiadita da spettri e angolature wave, è proprio nell'ampiezza sonora che ne fa da corollario il punto forte di “Earthbeat” e della naturale evoluzione nella ricerca sonora dei Be Forest.
Da qui, le soavi melodie eteree (“Totem II”) trovano il proprio equilibrio limando le ritmiche marziali a suon di arrangiamenti rotondi, creando un impasto sonoro sognante ed equilibrato nei propri contrasti (“Captured Heart”), a volte incline a suggestioni orientali (“Hideway”), oppure ammiccante alla basilare "Forma e sostanza" di casa XX (l'iniziale “Totem” ha più di una affinità con “Intro” della band inglese), ma sempre imperniata di una cifra stilistica ammantata da una sottile foschia shoegaze.
Ne deriva, appunto, un disco terso di melodie eteree, in cui la leggera coltre di distorsioni impreziosisce gli arrangiamenti ricchi e mai invasivi.
I Be Forest sono cresciuti, e questo piccolo frammento di ardesia che risponde al nome di “Earthbeat” è la chiaroscurale dimostrazione di un gruppo simile a molti, ma uguale a nessuno.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: We Were Never Being Boring
Dal piccolo tour di spalla agli ormai compagni Japandroids - di cui hanno coverizzato splendidamente “I Quit Girls”, contenuta in un 7'' a cui fa da contrappunto “Hanged Man” - passando per il side-project Brothers In Law, vero e proprio prolungamento per la chitarra di Nicola Lampredi, e il cameo di Costanza Delle Rose in “Nome” degli Altro (per cui Baronciani scrisse le note di copertina di “Cold”), fino al premio come migliore band esordiente per la Targa Giovani MEI del 2011.
Una manciata di anni impegnativi e movimentati, da cui deriva la gestazione e il parto di questa temuta seconda prova discografica.
Sempre spalleggiati dalla fidata We Were Never Being Boring, “Earthbeat” tenta (fin dal titolo) di tornare alla terra per allontanarsi dal mero revival new wave, acquisendo linguaggio e padronanza dei mezzi tesi verso una rilettura personale della materia.
Assimilata dunque la fredda lezione degli '80 più torbidi e riverberati, in “Earthbeat” lo spettro sonoro del quartetto pesarese (al trio originario s'è aggiunto Lorenzo Badioli ai synth) si apre maestosamente verso lidi terreni, arricchendosi di nuovi elementi che infondono scura linfa vitale , qui intarsiata di flauti, arpe e percussioni ataviche che ne amplificano il raggio d'azione.
Se le chitarre ridondanti di echi e distorsioni rimangono un marchio di fabbrica ormai saldo e riconoscibile, assieme agli intrecci vocali femminili e quell'aura sbiadita da spettri e angolature wave, è proprio nell'ampiezza sonora che ne fa da corollario il punto forte di “Earthbeat” e della naturale evoluzione nella ricerca sonora dei Be Forest.
Da qui, le soavi melodie eteree (“Totem II”) trovano il proprio equilibrio limando le ritmiche marziali a suon di arrangiamenti rotondi, creando un impasto sonoro sognante ed equilibrato nei propri contrasti (“Captured Heart”), a volte incline a suggestioni orientali (“Hideway”), oppure ammiccante alla basilare "Forma e sostanza" di casa XX (l'iniziale “Totem” ha più di una affinità con “Intro” della band inglese), ma sempre imperniata di una cifra stilistica ammantata da una sottile foschia shoegaze.
Ne deriva, appunto, un disco terso di melodie eteree, in cui la leggera coltre di distorsioni impreziosisce gli arrangiamenti ricchi e mai invasivi.
I Be Forest sono cresciuti, e questo piccolo frammento di ardesia che risponde al nome di “Earthbeat” è la chiaroscurale dimostrazione di un gruppo simile a molti, ma uguale a nessuno.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: We Were Never Being Boring
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