Non tutti i dischi arrivano a
incarnare la pienezza di sentimenti che, a volte, ci è concesso sperimentare e
che è ciò che ci attrae dell’opera di alcuni artisti; molti sfiorano soltanto quella
tensione emotiva e quegli estremi passionali, in un cauto movimento di
avvicinamento circospetto o forse inibiti da acerba cautela. È questo il caso
di Thrill Addict, ultimo lavoro dei
Petern Kernel, coppia svizzero-canadese legata anche da un rapporto affettivo:
sebbene le forme espressive siano intriganti e facilmente riconducibili a
eccellenti modelli, è difficile entrare in una sintonia d’intenti con i moventi
profondi della band, che rimangono lontani senza travolgere attraverso i brani.
In Ecstasy il basso di Barbara
Lehnhoff traccia le asticelle di un balbettio elementare e familiare come
migliaia di foto d’infanzia, replicate centuplicate moltiplicate dai negativi
in serie della chitarra e reduplicare anche dall’unisono delle voci; sin da
questo incipit sono evidenti gli stilemi dei primi anni Ottanta filtrati
secondo la naïveté degli anni zero, ma soprattutto di qualcuno che ha
approcciato la musica senza necessità di farsi sanguinare i polpastrelli sulle
corde. La metà femminile del duo spruzza la sua voce acidula, ibrido di ultima
generazione tra Poly Styrene e Kazu Makino, su un rado e primitivo saltellare
di barattoli in High Fever; basso
e chitarra hanno in tutto il disco lo stesso spessore: non il peso di laterizi
e cemento armato ma la millimetrica sottigliezza delle casupole di un plastico:
Your Party Sucks è una miniatura
dell’alienazione, una risoluzione in scala di disagi per qualcun altro
imponenti. Benché io preferisca evitare di eccedere in riferimenti, negli
episodi più sghembi, come Leaving for the Moon, l’affinità con le derive lievi degli ultimi Sonic
Youth è talmente palese da inibire osservazioni autonome; solo il coro che
precede il ritornello spolvera il brano di una patina di college rock, che lo
salva dalla parentela quasi incestuosa. Dopo che la voce di Barbara balza fuori
dalla linea della registrazione in It’s gonna be Great, You’re Flawless avanza un tentativo di rendere l’approccio più
fosco, incalzando con un contrappunto essenziale tra basso e chitarra; Supernatural
Powers è un’interlocutoria filastrocca stralunata
che pende dagli schiocchi della drum machine, per poi essere spezzata dalla
batteria che avanza a metà brano. Con una certa consuetudine ormai alle
strategie espressive dei Peter Kernel, accolgo l’ultima manciata di canzoni:
dal mugolare di capricci infantili di Keep it Slow agli efficaci vuoti di They Stole The Sun, da Majestic Faya con il suo incedere sedato al fremente fruscio di
percussioni che agita I Kinda Like It, è l’economia di elementi a dominare e a dirottare l’attenzione su
pochi momenti sonori. Solo nel finale, l’improvvisazione in studio Tears
don’t Fall in Space, la coppia si impegna
nel cercare tinte cupe e gravità minacciose; ma la levità ha la meglio, e si
impone come linfa stilistica innegabilmente più connaturata a questi visual
artist, che sembrano aver incontrato la
musica per caso e averla portata a casa come un cucciolo.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: On the Camper Records
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