martedì 10 febbraio 2015

Dadamatto - Rococò (Recensione)

Sono molto contento di aver scoperto questo Rococò con un considerevole ritardo, e la gioia è derivata dal fatto che scoprirlo all'uscita avrebbe mandato in crisi le scelte per la mia top 5 italiana, che è già stata dura redigere a causa di esclusioni a dir poco sofferte. Allo stesso tempo scoprire che i Dadamatto hanno fatto già un sacco di album ed essermeli bellamente persi mi lascia il compito morale di fare il possibile per recuperare tutto il loro repertorio, che se è anche solo minimamente paragonabile a quanto mettono in mostra nell'ultimo disco meriterà sicuramente il tempo che gli dedicherò. Andando al contrario rispetto ad una recensione seria insomma, visto che serio non sono, posso affermare che Rococò è un disco della madonna, ottimamente suonato ed affascinante sotto un sacco di punti di vista.
La prima impressione è stata quella di trovarmi di fronte ad un qualcosa di strambo almeno quanto i mai abbastanza lodati Mariposa. Rock con venature pop, arrangiamenti mai banali e poesia sparsa qua e là, come nella splendida ed avvolgente “A Due Passi Dal Mare”, dalle delicate strofe intimistiche a base di piano e batteria accompagnati da arpeggi delicati di chitarra e da un basso mellifluo nei ritornelli, mentre Marco si avvicina ad una chiusura in tutti i sensi cantando “ma tu, che giochi e corri sul prato, non ti accorgi di essere appena stato ammazzato”. Mille facce per un disco che stupisce ad ogni brano, sfoderando ironia nonsense nelle rime di “Orte”, fra synth avvolgenti ed una chitarra obliqua che si sfoga in semiassoli nei piacevoli ritornelli, o lasciando reminescenze barocche coi synth della solare “Marina”e, ancor di più, con l'andamento da danza della splendida “Pluridemsionalità”. C'è spazio anche per le orchestrazioni di “America”, che con i suoi vagheggiamenti acustici conditi dall'egregio lavoro degli archi ricorda un po' i Marta Sui Tubi e si avvale dell'iniziale cameo di un certo Emidio Clementi, per la leggerezza malinconica chitarra-voce di “I Cinque Dell'Ave Maria” (che a posteriori, grazie anche all'aggiunta dei synth nel finale, non stonerebbe come omaggio alle splendide colonne sonore western di Morricone), per le venature prog di “Arrivederci”, condite da un cantato dolente e vagamente retrò e dall'ottimo lavoro del violino: a concludere il tutto, prima di un “Epilogo” pianistico che fa il paio con l'orchestrale “Prologo”, l'allegria contagiosa e vagamente eighties di “Insieme”, col reading all'inizio a rendere più curiosa l'atmosfera energica di un pezzo che sfodera paradossalmente frasi come “in due ci si può sentire ancora più soli”.
Che dire ancora al riguardo? Forse non ho rimarcato abbastanza il fatto che i testi sono di ottimo livello e altrettanto ben interpretati, un valore aggiunto ad un album che va ascoltato attentamente per carpire ogni sua sfumatura ma che riesce a catturare anche l'ascoltatore disattento. Bravi, ne voglio ancora.

Voto: ◆◆◆◆◇
Label: La Tempesta

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