Sono molto contento di aver
scoperto questo Rococò con un considerevole ritardo, e la gioia è
derivata dal fatto che scoprirlo all'uscita avrebbe mandato in crisi
le scelte per la mia top 5 italiana, che è già stata dura redigere
a causa di esclusioni a dir poco sofferte. Allo stesso tempo scoprire
che i Dadamatto hanno fatto già un sacco di album ed essermeli
bellamente persi mi lascia il compito morale di fare il possibile per
recuperare tutto il loro repertorio, che se è anche solo minimamente
paragonabile a quanto mettono in mostra nell'ultimo disco meriterà
sicuramente il tempo che gli dedicherò. Andando al contrario
rispetto ad una recensione seria insomma, visto che serio non sono,
posso affermare che Rococò è un disco della madonna, ottimamente
suonato ed affascinante sotto un sacco di punti di vista.
La prima impressione è stata
quella di trovarmi di fronte ad un qualcosa di strambo almeno quanto
i mai abbastanza lodati Mariposa. Rock con venature pop,
arrangiamenti mai banali e poesia sparsa qua e là, come nella
splendida ed avvolgente “A Due Passi Dal Mare”, dalle delicate
strofe intimistiche a base di piano e batteria accompagnati da
arpeggi delicati di chitarra e da un basso mellifluo nei ritornelli,
mentre Marco si avvicina ad una chiusura in tutti i sensi cantando
“ma tu, che giochi e corri sul prato, non ti accorgi di essere
appena stato ammazzato”. Mille facce per un disco che stupisce ad
ogni brano, sfoderando ironia nonsense nelle rime di “Orte”, fra
synth avvolgenti ed una chitarra obliqua che si sfoga in semiassoli
nei piacevoli ritornelli, o lasciando reminescenze barocche coi synth
della solare “Marina”e, ancor di più, con l'andamento da danza
della splendida “Pluridemsionalità”. C'è spazio anche per le
orchestrazioni di “America”, che con i suoi vagheggiamenti
acustici conditi dall'egregio lavoro degli archi ricorda un po' i
Marta Sui Tubi e si avvale dell'iniziale cameo di un certo Emidio
Clementi, per la leggerezza malinconica chitarra-voce di “I Cinque
Dell'Ave Maria” (che a posteriori, grazie anche all'aggiunta dei
synth nel finale, non stonerebbe come omaggio alle splendide colonne
sonore western di Morricone), per le venature prog di “Arrivederci”,
condite da un cantato dolente e vagamente retrò e dall'ottimo lavoro
del violino: a concludere il tutto, prima di un “Epilogo”
pianistico che fa il paio con l'orchestrale “Prologo”, l'allegria
contagiosa e vagamente eighties di “Insieme”, col reading
all'inizio a rendere più curiosa l'atmosfera energica di un pezzo
che sfodera paradossalmente frasi come “in due ci si può sentire
ancora più soli”.
Che dire ancora al riguardo? Forse
non ho rimarcato abbastanza il fatto che i testi sono di ottimo
livello e altrettanto ben interpretati, un valore aggiunto ad un
album che va ascoltato attentamente per carpire ogni sua sfumatura ma
che riesce a catturare anche l'ascoltatore disattento. Bravi, ne
voglio ancora.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: La Tempesta
Label: La Tempesta
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