giovedì 24 settembre 2015

Zolle - Porkestra (Recensione)

Rieccoli gli Zolle, più scatenati che mai. La band formata da Stefano dietro batteria e xilofono e Marcello alla chitarra (il Lan dei mai troppo lodati Morkobot) aveva dimostrato già col primo omonimo album di saperci fare e, al contempo, di non prendersi troppo sul serio, ma con questo Porkestra portano oltre il concetto di autoironia. Dodici canzoni per una concept-non concept col maiale protagonista, nel senso che ognuna delle tracce ha un bel pork come incipit del titolo, il tutto unito ad una cover delirante a base di...indovinate un po'? Suini, of course. Ma basta l'autoironia a rendere bello un disco? Nì.
La prima impressione, come per il disco precedente, è che troppa carne al fuoco alla fine faccia venire l'indigestione. Ai primi ascolti infatti si viene travolti da un'onda di distorsioni e legnate sulle pelli che lascia scombussolati, non pienamente consci di ciò che si ha appena sentito. Rimane qualche sprazzo di consapevolezza, perché non puoi fare a meno di notare come scherzino con l'hard rock (con tanto di campanaccio) nel mezzo di Porkeria, o di vedere qualche rimasuglio dei deliri sonori dei “cugini” Morkobot nell'incipit della conclusiva e magniloquente Porkangelogabriele, ma il resto sembra quasi un confuso affastellarsi di riff suonati perlopiù velocemente e come se non ci fosse un domani. Sarà per questo che le cose che saltano all'occhio maggiormente sono i momenti in cui la vocazione doom del duo si fa strada, non tanto nella lentezza quanto nella malevola oscurità dei riff, tant'è che quella graniticità viene evocata da una Pork Vader che si chiude con una rincorsa parossistica che è l'antitesi della lentezza tipica del genere, una lentezza che invece non giova ad una Porkasmatron troppo simile a sé stessa nei tre minuti di durata. Resta l'impressione, pian piano che gli ascolti aumentano, di trovarsi di fronte in molti episodi ad una versione nerboruta e sotto steroidi dei primi Nirvana, quelli ignoranti di Bleach che se ne strafregavano di suonare appetibili per le major, ed è soprattutto Porkata ad evocare quella Seattle cupa ed ancora senza soldi: due minuti abbondanti ed intensi che girano attorno allo stesso riff, accompagnati da una batteria sempre più cattiva, piacevole ma paradossalmente spossante nonostante la breve durata.
Il peccato originale degli Zolle continua ad essere questo: brani dalla durata spesso troppo breve per riuscire ad espandere in maniera efficace le idee ivi racchiuse. E' pur vero che la durata media dei brani si è allungata e che uno degli episodi più incisivi, quella Porkemon che stravolge all'infinito un riff mutevole e roccioso, dura solo un minuto e mezzo, ma spesso ci si perde in un bicchiere d'acqua rappresentato dalla parte centrale noiosetta di Porkimede (che pur si apre su un riff che calamita l'attenzione anche quando si ripropone prima del finale) o dalla mancanza di particolari stimoli della veloce Porkona. Per fortuna che ogni tanto il duo si inventa qualcosa che suona fuori dall'ordinario, perché è proprio con i bending esagerati nel finale muscolare di Porkenstein che rendono giustizia ad un sound che suona coeso sì, ma pure troppo.
Definire Porkestra un passo indietro nella giovane carriera degli Zolle sarebbe forse troppo, ma è pur vero che l'omonimo esordio conteneva spunti sonori che riuscivano a rendere più vario l'ascolto (soprattutto nella seconda parte). Un disco che con le sue atmosfere piacevolmente claustrofobiche sfodera comunque episodi degni di nota, ma ancora non il discone che potrebbero realizzare: loro però, davanti un tagliere di salumi, probabilmente se ne fregano di quel che avrebbe potuto essere e si divertono un sacco.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Bloody Sound Fucktory



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