La
prima impressione, come per il disco precedente, è che troppa carne
al fuoco alla fine faccia venire l'indigestione. Ai primi ascolti
infatti si viene travolti da un'onda di distorsioni e legnate sulle
pelli che lascia scombussolati, non pienamente consci di ciò che si
ha appena sentito. Rimane qualche sprazzo di consapevolezza, perché
non puoi fare a meno di notare come scherzino con l'hard rock (con
tanto di campanaccio) nel mezzo di Porkeria,
o di vedere qualche rimasuglio dei deliri sonori dei “cugini”
Morkobot
nell'incipit della conclusiva e magniloquente Porkangelogabriele,
ma il resto sembra quasi un confuso affastellarsi di riff suonati
perlopiù velocemente e come se non ci fosse un domani. Sarà per
questo che le cose che saltano all'occhio maggiormente sono i momenti
in cui la vocazione doom del duo si fa strada, non tanto nella
lentezza quanto nella malevola oscurità dei riff, tant'è che quella
graniticità viene evocata da una Pork
Vader
che si chiude con una rincorsa parossistica che è l'antitesi della
lentezza tipica del genere, una lentezza che invece non giova ad una
Porkasmatron
troppo simile a sé stessa nei tre minuti di durata. Resta
l'impressione, pian piano che gli ascolti aumentano, di trovarsi di
fronte in molti episodi ad una versione nerboruta e sotto steroidi
dei primi Nirvana,
quelli ignoranti di Bleach
che se ne strafregavano di suonare appetibili per le major, ed è
soprattutto Porkata
ad evocare quella Seattle cupa ed ancora senza soldi: due minuti
abbondanti ed intensi che girano attorno allo stesso riff,
accompagnati da una batteria sempre più cattiva, piacevole ma
paradossalmente spossante nonostante la breve durata.
Il
peccato originale degli Zolle continua ad essere questo: brani dalla
durata spesso troppo breve per riuscire ad espandere in maniera
efficace le idee ivi racchiuse. E' pur vero che la durata media dei
brani si è allungata e che uno degli episodi più incisivi, quella
Porkemon
che stravolge all'infinito un riff mutevole e roccioso, dura solo un
minuto e mezzo, ma spesso ci si perde in un bicchiere d'acqua
rappresentato dalla parte centrale noiosetta di Porkimede
(che pur si apre su un riff che calamita l'attenzione anche quando si
ripropone prima del finale) o dalla mancanza di particolari stimoli
della veloce Porkona.
Per fortuna che ogni tanto il duo si inventa qualcosa che suona fuori
dall'ordinario, perché è proprio con i bending esagerati nel finale
muscolare di Porkenstein
che rendono giustizia ad un sound che suona coeso sì, ma pure
troppo.
Definire
Porkestra un
passo indietro nella giovane carriera degli Zolle sarebbe forse
troppo, ma è pur vero che l'omonimo esordio conteneva spunti sonori
che riuscivano a rendere più vario l'ascolto (soprattutto nella
seconda parte). Un disco che con le sue atmosfere piacevolmente
claustrofobiche sfodera comunque episodi degni di nota, ma ancora non
il discone che potrebbero realizzare: loro però, davanti un tagliere
di salumi, probabilmente se ne fregano di quel che avrebbe potuto
essere e si divertono un sacco.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Bloody Sound Fucktory
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