“Difendi il nome del rock ‘n’
roll”. Come prendere sul serio questa esortazione, uscita direttamente
dall’eccellente penna di Giovanni Succi, e non pensare invece a un’efficace
parodia degli stereotipi veterometallari e dell’hard rock d’annata? Armati fino
ai denti del consueto arsenale tecnico, i Bachi da Pietra scendono minacciosi
sul campo della nostalgia metal, sicuramente meglio equipaggiati de Gli
Atroci, pionieri del genere in terra
italica; ma se da un lato la solidità di mezzi del duo sia innegabilmente
superiore, dall’altro le intenzioni ironiche e dissacranti della band
demenziale erano evidenti e conducevano a un godibile sberleffo dell’immaginario
machista, eccessivo e goffo di una parte del metal: ascoltando Necroide,
rimane invece per me incomprensibile se i timpani si trovino a far fronte a una
genuina quanto ingenua operazione di recupero di un’estetica e di sonorità
amate in età giovanile da Succi e Dorella o se, invece, la mimesi degli stilemi
del genere sia talmente fedele da svelare l’intento parodistico.
Se nell’incipit citato Black
Metal il mio Folk Succi rivendica la
valenza del metal quale forma di narrazione popolare, portatrice di significati
almeno per chi l’ha avvicinato durante l’adolescenza, Slayer &
The Family Stone cerca di concretizzare
un’altra delle dichiarazioni programmatiche della band: come maniscalchi
estemporanei, ricorrono al calore della black music per fondere il metallo in
una materia pulsante. Dopo la dedica a Jeff Hanneman e alla sua malattia di Fascite
Necroide, Tarli Mai ritorna nuovamente alle radici nere dell’Africa, ma
portata in Europa da colonizzatori dell’età industriale; anche Voodooviking fa dell’esotismo non convenzionale il suo fulcro,
riducendo nelle due strofe del testo un poema haitiano, rinvenuto in una
politicamente scorretta Antologia di Poeti Negri, edita in Italia nel 1954. Il kitsch lontanissimo
parente di Prince e dei suoi vezzi si affaccia attraverso le interferenze del
vocoder impiegato in Apocalinsect,
mentre in Virus del Male il
debito nei confronti della tradizione heavy viene portato allo scoperto: in
questa confessione dall’incedere rap, Succi chiama a raccolta tutti i numi
tutelari della sua formazione musicale, con il riconoscibilissimo stile lapidario
e paratattico, autentico puntello del suono. Dopo il growl di Feccia
rozza e il doom di Cofani funebri, il duo infila anche una chitarra acustica nel
cantautorato black metal di Sepolta Viva; il penultimo episodio, quanto di più simile a una ballad in questo
disco, avrebbe rappresentato una conclusione da manuale, a suggello
dell’epicità prepotente del disco: ma i Bachi si congedano invece con la
deflagrazione, eco dei primi Motorhead, della furibonda Danza Macabra.
L’inversione di marcia è più
simile a un ritorno alla casella di partenza, oltre l’autoironia trapela la
passione originaria e autentica su cui si sono sedimentati gli ascolti
successivi di Succi e Dorella; tuttavia, tra gli stereotipi ostentati e le
intuizioni musicalmente felici, rimane indefinito il confine che separa la
parodia dall’omaggio sincero.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: La Tempesta/Master Music/Tannen
Records – Wallace/ Audioglobe
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