venerdì 5 febbraio 2016

The Three Blind Mice - The Chosen One (Recensione)

Cercando Three Blind Mice su wikipedia viene fuori di tutto. Una nursery rhyme, racconti di Agatha Christie, album ed etichette jazz, perfino qualcosa di Brian Wilson dei Beach Boys. Tutti specchietti per le allodole, giacché gli occhi dei The Three Blind Mice sono rivolti alla frontiera, che sia quella statunitense o quella, meno reclamizzata ma ugualmente suggestiva, dell’outback australiano. Calexico e Nick Cave infatti i primi nomi che vengono messi a paragone con questa band italiana emigrata in Germania, il cui percorso musicale iniziato nel 2009 resta sì debitore verso i maestri ma, mischiando blues, country e post punk, trova comunque una strada personale all’interno del panorama musicale.
L’inizio con River Of No Return è sicuramente la miglior cartolina possibile. Tensione palpabile fin dalle prime note, con la voce ombrosa di Manuel Scalia perfettamente a suo agio su quelle tinte cupe, la canzone di apertura è un perfetto congegno ad orologeria in cui basso e batteria viaggiano all’unisono aspettando ansiosi che una chitarra impazzita deflagri nei momenti giusti e che la voce si impenni fino all’aggiunta dei cori nel finale. Non è l’unico episodio dell’album a vantare una costruzione così abile, basta saltare a Berlin Blues e al suo incedere lento e sofferente (a cui dà una grossa mano l’armonica) che riesce a trovare piena espressione nel minuto scarso in cui le distorsioni si permetono di alzare la voce, o direttamente alla conclusiva Gospel Train, dove una leggiadra voce femminile duetta con Manuel su strofe dense di immagini da Far West e ritornelli scarni dal respiro epico. Sono questi gli episodi migliori di un album di cui non si discute la qualità, sempre alta, quanto l’ispirazione altalenante: Ring Song stoppa in maniera meno efficace della traccia conclusiva una strofa westerneggiante con ritornelli lenti e mal amalgamati, Wine Song è una cupa ballad a cui solo qualche rada nota di piano concede un po’ di personalità, Sailor Song si lancia nel country più scarno e rurale senza destare però emozioni come in altri pezzi. Il mestiere è però dalla loro parte, ed è per questo che funzionano invece altri brani come We’re Strangers, dove il mood country melodico dei ritornelli viene controbilanciato da un andamento sincopatico che rende piacevole l’ascolto, o Neon Lights, che stacca notevolmente dalle atmosfere polverose del resto del disco per proiettarci negli anni 80 con un basso rotondo ed un incedere dolce ed ammiccante che ricorda i Roxy Music. Buona la prova anche nella cover di Lee Hazlwood The Night Before, in cui il suono si fa più roccioso senza arrivare però alle vette toccate con la traccia d’apertura.
The Chosen One è un ottimo album, che colpisce a fondo in specifici momenti e riesce con abilità ad uscire a testa alta anche dai momenti meno intensi. Forse un po’ al di sotto del voto in calce, ma di sicuro meritevoli di più che una risicata sufficienza, vista l’abilità con cui sono riusciti in pochi anni a creare un suono personale e dal marcato accento internazionale. Col passare degli ascolti vien sempre più la curiosità di vedere come e se riusciranno a portare tanto pathos anche dal vivo, staremo a vedere.

Label: Pale Music

Voto: ◆◆◆



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