sabato 29 gennaio 2022

Verdena - America Latina (music inspired by the film) RECENSIONE

 

Non siamo qui a contare gli anni, i minuti i secondi da quando ci siamo incrociati spiritualmente con questa band. Non siamo qui a contare da quanto non parliamo di musica. Quando avviene un'uscita dei Verdena tutto si ferma, diventa prioritario dare precedenza a una delle poche realtà artistiche di rilievo rimaste coerenti con il proprio percorso. Era abbastanza naturale che si confrontassero con la settima arte in modo netto, come era anche normale che la band in questione avesse a che fare con un titolo che sbadatamente in molti hanno letto inconsciamente come "Anima Latina". 
Oggi ascoltiamo queste composizioni senza aver visto purtroppo il film. Ma come di consueto ascoltando i Verdena la mente viaggia, crea delle storie e ci si perde in un film mentale. Da sempre chi ha apprezzato i loro album sa quanto ti permeano dentro i loro pezzi e cosa ti lasciano scalfite nel profondo alcune sonorità. Ed in questo album ascoltiamo tutto quello che è stato prodotto negli anni, se volessimo essere più precisi da Requiem in poi. Ci sono tutti i tratti distintivi del "sound del pollaio", fatto di sperimentazioni totali, che poi abbiamo potuto goderne "sotto forma canzone" anche in Wow e negli Endkadenz...

Ma quello che ci va di sottolineare è che i Verdena mancano sulla scena da troppo tempo, per fortuna! Perché ogni loro lavoro non è mai banale, mai scontati, ma ricchi di una ricerca che in pochi fanno. Il tempo passa ma la loro espressività migliora ed ora li possiamo ascoltare anche al Cinema grazie ai fratelli D'Innocenzo. Dicevamo per fortuna, perché ogni lavoro che si rispetti richiede molto tempo. In questa vita estenuante e frenetica soltanto chi è capace di darsi del tempo alla fine è in grado di produrre merce pregiata. 

Questo soundtrack si presenta con una impostazione "classica" se lo intendiamo come tale, un concept realizzato per un lungometraggio, composto da 19 brani di cui "BRAZIL" è il tema ricorrente. Se lo ascoltassimo slegato completamente dal film sembrerebbe il risultato finale di un lungo percorso fatto da Alberto, Luca e Roberta a cui facciamo i complimenti per l'integrità artistica con cui sono arrivati a questo grande risultato. Sì perché, seppur sia un soundtrack di un thriller in realtà è un vero e proprio album fedele all'essenza della band, tra temi cupi, taglienti, cacofonici e tribali, ballate distese semi-acustiche e mantra vocali sintetizzati. Musiche che forse non avremmo ascoltato, che forse loro non avrebbero approfondito in questo modo, ma che probabilmente segnerà uno spartiacque verso nuove forme espressive della band non nuova nell'esplorare, dedita a un costante processo di cambiamento per essere più fedeli a se stessi e mai simili a nessuno. Questa colonna sonora non assomiglia a nulla di ascoltato fin ad ora in questo particolare ambito, dove non tutti sono in grado di misurarsi, li collochiamo già tra gli illustri compositori che il nostro paese può vantare nel settore cinematografico. Si spera dunque questo non resti un unicum nella loro gloriosa carriera. Si sente in "America Latina" l'essenza del creare di sapienti artigiani del suono

Grazie per questo eterno viaggio mistico!



mercoledì 7 aprile 2021

Godspeed You! Black Emperor - G_d’s Pee AT STATE’S END! (Recensione)

 

Dopo molto tempo che non parliamo più di musica ci chiediamo cosa diavolo sia successo. La musica stordisce ancora? Forse no, o forse è cambiato soltanto il nostro modo di stordirci vicendevolmente. 
Frastornati dai lockdown, in cui avremmo potuto scrivere in continuazione e non lo abbiamo fatto per non aggiungere opinioni superflue alla grande mole di data stream, pensiamo sia corretto uscire con una recensione all’anno, circa. Visto che il blog non è definitivamente morto, ci sembrava il caso di dire giusto due cose sul nuovo disco dei GY!BE.


In un preciso momento storico dove spopolano online gli NFT, trollati dalla vita, dalle ripercursioni del progresso torna una delle più importanti band della scena post-rock, accendendo di nuovo la radio ad onde corte, attraverso sinfonie apocalittiche e nenie di fine mondo. Sembra come ascoltare un mondo dimenticato, di memorie smarrite, luoghi vuoti ma comunque regnati dal caos al suono delle ambulanze. Eppure come sempre estremamente politicizzati, pieni di incursioni taglienti e di pura anarchia sonora. Dicevamo, di questi tempi la rarità si fa fintech: il maestro afx sperimenta la cryptoart e ci stordiscΞ, nel mentre la band canadese esce con un disco di pura coerenza e forza artistica, una delle poche certezze di musica capace ancora di stordire stordire stordire. FINE!

Vi riportiamo un estratto del messaggio lasciato su bandcamp dai Godspeed You! Black Emperor:

"this record is about all of us waiting for the end.
all current forms of governance are failed.
this record is about all of us waiting for the beginning,
and is informed by the following demands=
empty the prisons
take power from the police and give it to the neighbourhoods that they terrorise.
end the forever wars and all other forms of imperialism.
tax the rich until they're impoverished."

Voto: 
Label: Constellation

Il mio Indirizzo Pubblico per il Deposito ETH: 0x1910BF5091eFC029AD875c4B90523500342B2C8D

domenica 3 maggio 2020

Glomarì – Inaccadimenti - Una trilogia (Recensione)

Torno a parlare di musica dopo sei anni. In tutto questo arco temporale nessun artista o band mi aveva colpito a tal punto da sentire l'esigenza di doverne parlare.
Glomarì è uno dei rari talenti che il nostro panorama artistico ha tirato fuori dal cilindro in un momento storico epocale tremendamente complesso, con questo Ep d'esordio che non può e non deve passare inosservato.
I tre brani di "Inaccadimenti" vengono presentati sotto forma di videopoesie scritte e dirette dall'artista, uno dei quali "Mostarda" vincitore del primo premio "Artefici del Nostro Tempo" della 58. Esposizione Internazionale d'Arte – La Biennale di Venezia. 
Tre soli diamanti di una raffinatezza unica in un genere difficile da individuare, certamente vicino alle sonorità dei Comaneci di "You a Lie". 
Gli arrangiamenti con Ukulele di Glomarì hanno alcuni tratti di richiamo inevitabili al sommo maestro Andrew Bird. Ma la vera forza dell'artista risiede nel saper maneggiare con cura anche la macchina da presa, dove i brani diventano dei racconti visivi con riferimenti artistici affascinanti, legati da un filo sottile di simbologie e dettagli in cui Glomarì riesce a narrare stati d'animo diversi tra loro con disinvoltura.  
Dicevo che questo Ep viene fuori nel momento più triste della storia musicale italiana, forse un momento di riflessione collettiva che ci permetterà di vedere il mondo con occhi diversi. Quale modo migliore se non veicolare un cambiamento attraverso la creatività? Quale valore attribuire maggiormente ad esso in futuro? Intanto oggi impariamo a sognare come Glomarì insegna a farlo, con classe ed eleganza, senza indugi, impiegando la sua preziosa "bottonologia" che ha saputo egregiamente rendere arte attraverso note, parole, immagini e citazioni.

Harold: Però credo che lei scombussoli un po' la gente... non so se sia giusto...

Maude: Bè... se qualcuno si scombussola è perché è troppo attaccato a qualche cosa. Io ho un po' la funzione di dolce monitrice, oggi ci siete domani chissà, non vi attaccate alle cose della vita.”


Dal film Harold e Maude.


Voto: ◆◆◆


martedì 6 dicembre 2016

La Macchina Di Von Neumann - Buona Musica! (Recensione)

Von Neumann come padrino della musica strumentale italiana: dopo aver conosciuto ed adorato i romani Vonneumann ecco che i La Macchina Di Von Neumann arrivano col loro secondo ep (terzo se si considera Tale Edro Shin Tone, composto di due remix della traccia che dà il titolo e di una intro con parte di un’intervista al matematico stesso) a confermarmi questa bizzarra fascinazione dell’underground italico per il personaggio. La band brianzola gravita intorno al post rock, riuscendo comunque a dire la sua in un panorama strumentale che negli anni si fa sempre più denso: forse attecchiscono le parole del filosofo Cratilo, convinto non bisognasse parlare per il fatto che, al mutare continuo dei concetti e del significato delle parole, nessuna realtà poteva essere designata…o forse sto sproloquiando di filosofia dell’incomunicabilità senza basi solide per farlo invece di fare il mio post-lavoro gratuito, quindi torniamo al disco.
Buona Musica! si apre con Bistecca, brano mutevole e dall’andamento blando che passa dalla tranquillità iniziale, con la parte ritmica a dare enfasi ai ricami delle chitarre, a momenti prima cupi e poi morbidi, sterzando improvvisamente verso un cattivissimo finale post-hardcore in cui la batteria lanciata all’improvviso a mille giustifica pure quel “musica strumentale per punk di lusso” che campeggia sul loro profilo facebook. Di ben altra pasta Ecco, appunto, in cui dopo un divertente (fino ad un certo punto) sproloquio iniziale sulla formula perfetta per fare successo si passa ad assaporare, invece della stracchinata avvolgente evocata dalle parole, un brano più quadrato del precedente, ben diviso fra parti cariche e pause in cui come nella traccia iniziale basso e batteria dettano il ritmo e le chitarre ricamano: piacevole, ma meno convincente di quanto ascoltato poco prima.
Segmentation Fault (Core Dumped) risolca binari più propriamente abbinabili al post-rock, con un retrogusto di Russian Circles ed un andamento sempre in crescita che sfocia in schitarrate mai eccessive ma comunque energiche, e lo stesso andamento viene seguito anche dalla conclusiva La Supposizione E’ La Madre Di Tutte Le Cazzate, che ha forse l’unica pecca di non riuscire ad esprimere tutta la potenza necessaria al momento di massimo sfogo: plauso comunque per l’armonico duetto chitarristico con cui il pezzo va placidamente a concludersi.
I La Macchina Di Von Neumann procedono per piccoli passi, continuando a sfornare ep lodevoli ma a cui manca ancora qualcosa: Buona Musica! è vario e coinvolgente ma la gamma di suoni che i quattro brianzoli sfornano lasciano presagire sviluppi ancora più interessanti, in previsione dei quali mi tengo buono il mezzo punto che gli manca per superare la soglia delle tre stelle in calce che, va detto, gli vanno strettissime. P.S. L’ottima produzione autonoma, ad opera del chitarrista Davide Magni coadiuvato in sede di registrazione da Francesco Altare, va ad assommarsi ai meriti della band.

Leggi l'intervista "Brianza strumentale"
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Autoproduzione



giovedì 1 dicembre 2016

An Harbor - May (Recensione)

La prima parola che mi è venuta in mente ascoltando May è stata ‘internazionale’. Come suoni, come arrangiamenti, come gusto e, soprattutto, come produzione, perché l’album d’esordio del piacentino Federico Pagani, nome di battaglia An Harbor, è probabilmente il disco italiano meglio confezionato che abbia mai ascoltato così a memoria. Sarà complice una voce che mi fa venire in mente i Maroon 5, ma uno qualsiasi dei pezzi di May non sfigurerebbe nell’airplay radiofonico di qualsiasi grande emittente, senza che nessun elemento faccia pensare ad una provenienza italiana.
Prendete ad esempio Like A Demon: piano sornione a menare le danze, batteria triggerata in sottofondo, synth che escono alla bisogna nei potenti ritornelli e voce femminile (splendida, di Giulia Bonomelli aka Tight Eye) a duettare con Federico a due terzi del brano, giusto per dargli quella spinta in più. In otto pezzi An Harbor mette tanta di quella capacità di azzeccare il motivetto orecchiabile che ti vien da immaginarlo chino sulla scrivania, chitarra sulle gambe, intento a scandagliare il modo di arrivare a più orecchie possibili, e devo dire che questa visione mi ha perseguitato per un po’ nell’ascolto dell’album: tutto è talmente rifinito infatti che a tratti dubitavo della spontaneità del lavoro, avviluppato in una rete di suoni che saccheggiano a piene mani da quanto va per la maggiore al momento (un esempio su tutti: il vocoder utilizzato in certe parti di Shine Without A Light che, per compensazione, coi suoi sette minuti di durata e la metamorfosi ritmata alla Empire Of The Sun del finale rappresenta l’episodio meno proponibile radiofonicamente), ma resta il punto che è fatto talmente bene che non si può evitare di applaudire. L’anima dell’artista emerge comunque a tratti in un brano come Not Made Of Gold, voce e chitarra acustica per un intimismo musicale che si rinforza d’emozione quando la chitarra elettrica si unisce in un fraseggio, semplice ma d’impatto, per un breve momento, o nell’altrettanto scarna Come Armed Or Come Not At All, dai ritornelli più sbarazzini. Federico cavalca e mischia i generi sapientemente, unendo nell’iniziale Minevra Youth Party il rock d’impatto dell’apertura col pop dal marcato sapore anni 80 evocato dal piano e soprattutto dal synth, passando dall’intimismo piano-voce al sovraccarico di basse in The Highest Climb. By The Smokestack, canzone con la quale si è fatto conoscere ad X Factor, è poi il perfetto brano da classifica, mutando anima e suoni in continuazione e con efficacia assoluta (basti pensare al cambio di suoni della batteria nei diversi ritornelli): impossibile da non cantare.
Dopo aver elogiato il disco in lungo ed in largo mi sento un po’ ipocrita a non dare il massimo dei voti, ma per una volta il voto che metto in calce è quello personale e non il giudizio critico: nel suo essere un perfetto congegno ad orologeria pronto ad esplodere nelle orecchie dell’ascoltatore, per poi rimanervi a lungo, May a parer mio lascia per strada un po’ di quell’immediatezza ruspante di cui io sono drogato, e quel punto in meno è dovuto solamente a questo. Tutto ciò non toglie che un album del genere fa ricredere chiunque pensi che in Italia non si possano fare le cose fatte bene come all’estero, e non stiamo neanche parlando di produzioni milionarie ma di uno che si è rotto il culo da sé e si è guardato bene in giro per capire come, quando e dove fare le cose. Sicuramente un album da ascoltare, anche solo per questo.   

Voto: ◆◆◆◆◇
Label: This Is Core Records/ Believe



lunedì 21 novembre 2016

Trompe Le Monde - Ohrwurm (Recensione)

Dio benedica il free download: da quando questa pratica si è diffusa a macchia d’olio fra le giovani (e non solo) band le possibilità di scovare qualcosa che valga la pena ascoltare sono diventate sconfinate, almeno per uno come me che riesce a passare poco tempo al pc-cellulare e non riesce quindi ad usufruire dei vari spotify-bandcamp-soundcloud-mianonnaincarriola. Ad esempio i qui presenti Trompe Le Monde me li sono placidamente scaricati dopo essermi fatto ingolosire da un brano a caso, quindi me li sono ascoltati con calma viaggiando in macchina e, alla fine, me ne sono innamorato. Tant’è che se sono qui a parlarne è per una spontanea vena di condivisione, nella speranza che le mie parole se le inculi qualcuno e vada ad ascoltarli.
Quello che ho amato fin dal primo momento di questo power trio strumentale (se si esclude qualche campionamento qua e là, tipo un estratto di Quinto Potere in Blob) è la vena cazzara che anima buona parte del disco: dal momento in cui un basso fuzzato al massimo entra in gioco nell’iniziale Senza Clienti si sale su un ottovolante di suoni lisergici e strutture mutevoli, e già il brano in questione, dopo una corsa forsennata scandita da una batteria incisiva e da una chitarra che si diverte ad esagerare col wah, si piglia un’improvvisa pausa dove il rallentamento, complice il basso all’improvviso tentennante, mi ha lasciato un’impressione di Kyuss che forse non è il paragone adatto ma uno non è che sta a sindacare sulle sensazioni: ancora qualche secondo poi e via a tutta manetta verso il finale. Doxa, la traccia seguente, espande ancora di più questo approccio: segue una linea prestabilita fatta di continui stop & go alternandola a scatenamenti sempre diversi nelle “strofe”, per poi finire con gli strumenti che a turno improvvisano su quel che vogliono come fosse la presentazione dei singoli membri (la chitarra scimmiotta la suoneria della nokia, tanto per far capire l’andazzo). Delirio, perlopiù ragionato ma non per questo meno accattivante.
Acufene (Una Stagione All’Inferno) tira fuori il lato più oscuro della band, lasciando che strofe calme condite da voci di sottofondo quietino l’atmosfera in attesa delle improvvise sfuriate, momenti in cui l’intenzione ricorda i migliori Morkobot: il finale, rilassato, non lascia meno inquieti. Blob è il brano più conciso, tutto fuzz e potenza, e complice l’inserto da film accennato in precedenza lascia un piacevole retrogusto di Fuzz Orchestra. Lo stesso andamento sembra seguirlo anche la successiva Festa Grande Sullo Scivolo A Spirale, almeno fino a quando non si apre l’ennesimo delirio: da lì in avanti sono pause di lunghezza casuale e ripetizione del tema iniziale a ciclo continuo, forse non il migliore modo di terminare un brano con energia da vendere.
Disfunzione, pezzo con cui si conclude il disco, andrebbe ascoltato con il video che lo accompagna: partendo con un basso minaccioso e risate di bambini inquietanti il brano si sviluppa come una disturbante discesa nella paranoia, che raggiunge l’apice quando la chitarra poco prima del convulso finale si limita a dissonanti rumori di sottofondo; l’ideale colonna sonora per un film horror girato da David Lynch.
Tirano spesso la corda i Trompe Le Monde, ma non si può negare che Ohrwurm sia un disco godibile e pieno zeppo di idee, intriso di una libertà compositiva che non passa però mai il limite che la divide dal puro esercizio di stile. Come detto il disco è in free download quindi non c’è niente che vi impedisca di dare un ascolto a questi sei brani, a meno che non vi stia sul cazzo.

Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Brigante Records
Leggi l'intervista: Quando il Vento si fa lisergico

Licenza Creative Commons

 
© 2011-2013 Stordisco_blog Theme Design by New WP Themes | Bloggerized by Lasantha - Premiumbloggertemplates.com | Questo blog non è una testata giornalistica Ÿ