Ma c’è una label alternativa nel nostro sistema mondo che produca una quantità maggiore di dischi ben sopra la media? Si, c’è, l’Americana Hopeless Rec, un cosmo a parte dove la maggior parte dei di-sadattati moderni che si fanno eroi per portare ancora sulle spalle la “via crucis” del punk , di-sadattati che, dopo aver scritto non meno di 600 canzoni al mese, ne scelgono le otto o dieci più belle o che possano macinare sguinze civettuole e pupe ingellate, e ci fanno almeno un disco a trimestre.
Inquilina di questa label è anche la band di Philadelphia The Wonder Years, baldi giovincelli che giunti al terzo giro discografico, non smettono di farsi piacere nonostante che il loro pop-punk da palinsesto tunes sia lo stesso e fottutamente identico a migliaia d’altri epigoni che risalgono le chine in ogni dove; Suburbia I’ve given you all and I’m nothing è il disco cosiddetto “carino”, i suoni che girano all’interno sono la solita misticanza di nuggets, cori che urlano tare incomprensibili, suoni sporchi, strafighe melodie da cuori infranti, spirito punk-college e prurigini surfing, praticamente niente che non sia stato inventato, eppure è un disco che tira forte nel farsi sentire e a non farti fare più nulla di quello che avevi programmato di fare.
Il sestetto suona forte e dolce, nulla di intellettualmente scritto, solamente quella carica tra lo sfigato/spensierato che gravita tra fuzz di chitarre in esaurimento nervoso e giugulari arrossate all’inverosimile oppure cianotiche tra lo smielato in amore e spennato su ballatone acustiche/elettriche da accendino acceso “I’ve given you all”, “Hoodie Weather”; ma è la forza della gioventù sonica che prende molta aria vitale anche dalle rifrazioni della BayArea Americana, quella tutta denti bianchi al Clorodont e al chewingum vitaminizzato, la forza salutista e figacciona che apre il loud su effervescenze ultrascattanti alla Pennywise, Lagwagon, The Offspring o Guttermouth “Woke up older”, “My life as a pigeon”, “Coffe eyes” o “And now I’m nothing”, regno incontrastato di doppie pedaliere e i classici “tre accordi” del punk che impazziscono a ritta e a manca.
Tre chitarre e quattro voci per urlare o sibilare gli inni della loro fase fisica contingente, una dinamica roboante d’insieme ben customerizzata che produce buoni effetti ed un ascolto adrenalinico come pochi; è ovvio che la canzone hit è ancora da ricercare nel mezzo della tracklist, ma quello cui si tiene a sfoggiare di questo piccolo registrato è la rara semplicità che è adoperata, da parte di giovani punkers lontani dalla spocchia, per stuzzicare i grandi richiami della storia musicale, e questo già da sola vale tutto il disco credetemi!
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Hopeless Record
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