Manchester, o meglio, la Madchester di tante pazzie creative fa ha lasciato molto nel dna della band degli Airship, molto, tanto che in questo primo lavoro “Stuck this ocean” le bradiposità oscure e le alchimie di calme piatte e deliranti prendono in toto la scena d’ascolto come se a muoversi fosse una malta compatta di fango elettrico che da la parvenza di avere alle spalle le ambientazioni fogly distoniche dei Blanck Mass corredate da una malinconia di fondo tremenda, senza futuro.
E appunto anche il no future della new wave svenata e amante di cotanta sfinitezza circola come un fiume in piena attraverso la planimetria del disco, e la portanza di questa tensione elettrica è affidata alle chitarre elettriche, le regine rappresentative degli anni novanta che si vogliono far resuscitare, non come amarcord, ma come continuazione di un’epoca intramontabile e malata, ma che ha fatto del fascino della sofferenza il punto focale della coda del secolo scorso.
Sono di casa e girano indisturbati nel disco le tricologiè arruffate dei Cure, pizzicori di mani alla Joy Division, qualcosa che si posta nel post punk revival di formazioni tipo Los Campesinos e Chapel Club e una colorazione buia e intensa che si percepisce e che molto probabilmente, anzi lo è, fa la bellezza abissale della musica targata Airship; undici tracce costellate di battuti di pelli incisive “Invertebrate”, i sintetizzatori che donano fragori eighties a tutto spiano “Kids”, “Test” e poi tutte le pastorali sfumate di dark che s’insinuano come nebbie tra i coni degli ampli e dentro certe nostalgie per un’epoca dove la materia vitale era quella atta a romanticizzare il vuoto interiore di masse in black “Stuck this ocean”, “Algebra”, “Organ”.
Forse per la band inglese si tratta di una specie di fedeltà alla linea della Leeds deputata alla disperazione elettiva, magari una rincorsa verso la perfezione lasciata in sospeso con l’avvento dei sistemi nuvolosi del grunge, oppure solamente un rimarcare musicalmente – e capitano a fagiolo – i nuovi tempi bui e di recessione che si stanno calpestando, ma queste sono altre storie, intanto “facciamo luce” su questo buon disco underground e al diavolo le luci accecanti della ribalta!
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Play It Again Sam 2011
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