martedì 25 ottobre 2011

Filippo Andreani – Scritti con Pablo (Recensione)

Filippo Andreani – Scritti con Pablo Non è per rigirare il dito nella piaga, ma il cantautore lombardo Filippo Andreani con il suo disco “Scritti con Pablo” è conscio di andare ad incollarsi al 101% alle variazioni felici e melanconiche del Vate De Andrè, è al corrente che la sua declinazione infinita di mondi da sottoscala fa da scotch adesivo alle uova di Fabergè sonori di Fossati o, chissà, magari è in possesso di una patente poetica per accedere all’isolazionismo melodico e vivo di Onorato Giancarlo? Già con La Storia Sbagliata – disco dello scorso anno – queste annotazioni venivano alla luce come il cono luminescente di una pila elettrica nel centro della notte; non che , alla fine – ci sia nulla di male - di coveraggi totali n’escono a bizzeffe ogni giorno, ma poi non si pretenda dalla critica quell’attenzione specifica sulla propria “opera”, tale che la possa innalzare al grado di un prodotto dal futuro lungo, lo si può anche fare, ma l’etica professionale ci strizza gli orecchi ed il cuore ci dice che ci sono altri lavori meritevoli se non altro per creatività ad immaginazione nuova.

Questo “Scritti con Pablo” sostanzialmente è un disco bello, ben suonato e rifinito con tutti i crismi necessari per far bella figura, ci mancherebbe, ma peccato che c’è il Faber dall’inizio alla fine, nessuna traccia personale dell’Andreani, c’è una stanchezza di base tristagnola, senza sbocchi personali, undici tracce che portano l’orologio del sentimento e del tempo a girare intorno all’amore, undici tracce che partono tutte da uno start e - dopo aver percorso un sintomo ellittico - ritornano al loro punto di partenza, un peccato che fa peccato in quanto l’autore dimostra immensa padronanza di sé e della poesia che vuole traghettare e, onestamente, sentirla delegare alle strasentite emozioni di lignaggio dell’Alta Scuola Cantautorale Genovese fa rabbia e in un certo senso dolore per una nuova mancata di centro da parte di un giovane artista che si presenta per fare il salto e “rinnovare” la ribalta del piano superiore.

Se si vogliono assaporare le tracce contenute in questo disco senza un’esigenza di scaletta tutte vanno bene per la grazia e l’eleganza che portano, poi se si vuole un aiutino prima, un nostro preascolto fiduciario quello che possiamo indicare sono i colori calienti alla Fossati di “ La pena di amare”, gli arpeggi imbronciati di “Finche Dio tace” e i movimenti jazzati di spazzola che limano “Ostinata e dolce”; con la produzione di Simone Spreafico di Mercanti di Liquore un disco che si chiude e richiude – nonostante la bellezza – su cose che abbiamo già, così pure per la storia.

Voto:
Label: Lucente


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