Con i Megafaun di nuovo in giro, siamo ai piani altissimi della nuova ondata di “Americana” che sta spettinando in largo e lungo i sentieri che legano, con nodi e ottime speranze di buono, i limits del North Carolina e Wiscounsin; un disco senza titolo, sereno e pazzo, che porta nel bilancio delle sue influenze – come eredità di sangue – l’ombra degli Akron/Family e Bon Iver “State/Meant” e tutta la genialità dei confini dell’America di provincia, quella con i falò accesi, il rock a bassa tensione, le melodie e cori folk ed il midollo intatto di quella dolcezza prettamente fieldly, contrazione idilliaca di spazi psichedelici ancorati in terra.
Il sapore di questo bel disco è lo stesso delle soffitte aperte all’improvviso, dove muffe, tesori, ricordi e vecchie carte tornano alla ribalta per un pugno di minuti e si palesano sotto le sembianze di ballate “Get right”, sopra i tasti soul di un piano a muro e dentro le palpebre di Neil Young “Hope you konw”, sulle spalle di Tom Petty che sventola i suoi galloni al vento “Resurrection”, o a cavallo d’arpeggi celestiali che si aggrappano ad una voce nicotinica “Kill the horns”; la band americana, in questo terzo traguardo discografico, conferma che si tratta principalmente d’amore per la propria terra, per quello che c’è sotto e per quello che esprime anche nel nero più sporco, tra stridori e arcobaleni, urla e silenzi, un sentimento programmatico che in questo disco hanno voluto virare verso una svolta più marcata in senso psichedelico, ed è come se tutto cio che l’ascoltatore può considerare di ascoltare loro lo suonano come il walzerone slow che spazzola in “You are a light”, il cristallino trip che parte dalla West Coast e apre il disco “Real show”, la ruralità blues di slide, dobro e lap-steel degna di un paradiso terrestre “Postscript”, un acido calato con in cuore i Grateful Dead “Serene return” e fantasmini hillibilly che scorrazzano a zig zag per tutto il tragitto della tracklist.
Si, per essere sinceri il sentore vivo e forte di un (Akron) family affair è concreto, ma la bravura di questa band vola all’undicesimo cielo e la prospettiva, a quanto è dato sentire, è di andare ancora più su, lì dove volano le aquile di montagna, e voi che avete bramosia incerta su questo disco, mettete tranquillamente mano al portafogli e fate vostro questo incunabolo d’arte sballata, una rara occasione dove spendere qualcosa è un’azione senza peso.
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: Hometapes 2011
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