Vito Ranucci, è come una libellula che ha il pandemonium dentro, artista che non conosce limiti o frontiere, sottotoni di colori o accenni di ventilazioni contro, ha la declinazione netta di essere un qualcosa sopra inteso come allineamento astratto di visioni sonore al posto della mera poetica declamata, un musiconauta sospeso tra chill out, ectoplasmicità lounge e passionali di lontani St.Germain “Dans le Regard”, Shazz comprensivi del french touch di Dimitri from Paris; un disco che fa galleggiare come un pallone gonfiato ad elio tra nebbie, derive, dream-things e sortilegi immaginifici che hanno come base preponderante il lessico onirico dell’house, il nu-jazz. e tutta la fresca acidità psichedelica che può scaturire da una inesausta ricerca di immaterialità fisica.
“Dialects”è il nuovo album dell’artista campano, ed è una pregevole scaletta di voli e dinamiche che portano ovunque, tra suggestioni mediorientali, cumini mediterranei, analogie e atmosfere che si fa fatica a non prendere l’alto come forza gravitazionale libera, una tavolozza di colori e schizzi sopra una tela bianca come un gabbiano pronto a salire le cime della creatività, delle emozioni che non fanno mai mancare il loro appoggio durante l’ascolto di queste stupende dieci dimensioni registrate; un riuscito espressionismo fusion multiarts con arditi cambiamenti, mutamenti che portano l’ascolto in un unicum davvero semplice e sofisticato nell’insieme, dove l’effetto sulla pelle e sul cervello gioca di suo e regala una fruizione metafisica terragnola non indifferente, stupenda.
Vecchio e nuovo in un contemplarsi a vicenda, con gli occhi arrossati e la mente aperta, l’intimità friabile di “Poison”, il Sergio Bruni rivisitato in un vanishing rarefatto “Carmela”, gli echi e le risonanze liquide che bagnano e asciugano il soffio di “Impunity” o l’azzardo vincente di “Choral” che si insinua tra le pieghe della santità corale de “La Passione secondo Matteo” di J.S.Bach con una preghiera araba da brivido, oltre le divisioni e gli sguardi in tralice di una umanità atroce; ascoltare questo disco è stare molto su, è stare in una dimensione non canonica, ma un ricercare una certa spiritualità musicale che non ha compromessi di mercato o di scaffale, piuttosto un viatico esemplare in cui il respiro del sax e l’arte del compiuto sonoro di Ranucci crea, risolve e ricrea quelle stanze sonore e idiomi musicali come il down-beat dal sapore Caposselliano “Napoli hard”, tutte pulsazioni che confondono, vibrano e esaltano il nostro “piccolismo” umanoide indecifrabile.
La world music, le sue poliritmie e le sue sensazioni prendono ancora più forza, se questo lotto di cose belle viene ascoltato a loud dieci, poi la trasgressione di girare il corpo e la mente a ritmo di questi “dialetti” colorati vi sosterrà come sufi roteanti sotto la regia di questo musicista e del suo Ensemble, dopodiché più mondi daranno più albe è più dolci tramonti.
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: MK Records 2012
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