lunedì 19 novembre 2012

Normal Insane - Sedici (Recensione)

Sedici è l'esordio ufficiale dei Normal Insane, e la maggior parte degli esordi porta con sé inevitabilmente dei difetti. Cose che si possono perdonare all'inizio della carriera (anche se pare che la band veneta sia in giro da un bel po'), basta che non si esageri. Purtroppo però in questo disco si esagera.
Le prime due tracce, “Corn Flakes” e “Farfalla”, contengono già difetti non di poco conto, a partire da una registrazione che privilegia in maniera massiccia la voce nella prima e la seppellisce sotto gli strumenti nella seconda, dando già un'immagine generale di poca coesione che, pur senza estremi simili, si nota in tutte le tredici tracce. La scelta di privilegiare la voce nella opening track ammazza oltretutto le dinamiche di una canzone già di per sé non eccezionale, che paradossalmente trova nei ritornelli i suoi momenti più loffi invece di dare libero sfogo alla tensione accumulata da strofe in crescendo continuo: che la scelta di calare il ritmo sia voluta è evidenziata dagli inserimenti soft di tastiera, ma che la voce non faccia niente per rimarcare questo cambio di registro è totalmente controproducente. “Farfalla” inaugura invece una lunga sfilza di canzoni prese di peso da un revival di musica grunge anni 90, che sembrano arrivare da due decenni fa più per i suoni vecchi e totalmente impersonali che non per la fantasia compositiva (che ai tempi c'era, checchè ne possano dire i detrattori che citeranno Smells Like Teen Spirit e poco altro), al cui confronto i Nirvana di inizio carriera sembravano i Pink Floyd. Le tinte cupe regnano perlopiù sovrane, ma anche quando i suoni si fanno più soft e solari non si passano certo bei momenti: la storiella surreale di “Ufo” chiude 4 minuti scarsi di noia con vocalizzi pessimi, mentre “Toilette” è quasi fastidiosa nella sua mancanza di idee. Ci sono classiche canzoni cupe in cui le distorsioni si sfogano in anonimi ritornelli (“Missa”), lenti che vorrebbero essere ammalianti ma sono solo estenuanti (“Hawaii” e “Glicine”), pezzi ritmati in cui i suoni risultano peggiori che mai (ascoltare l'anonima chitarra in secondo piano in “Tango”): si salva giusto l'allegra ed intensa“Mai”, ma giusto per capirci non è niente di più di quanto potessero fare senza sforzo i primi Verdena. E se il cantato fa solo il suo compitino e niente più per tutta la durata dell'album è nei testi che Denny lascia veramente perplesso, rimandando al trio bergamasco poc'anzi citato ma con effetti peggiori: non sono un fan dei testi di Alberto Ferrari, ma le parole arzigigolate che si va a ricercare (o inventare, stenuo esiste veramente come parola? Secondo il correttore di Openword no) danno ai suoi testi un'aria di ermetismo che le banalità infilate nei pezzi di Normal Insane non possono sperare di raggiungere.
Si può perdonare l'inesperienza, ma ai Normal Insane mancano i fondamentali. Innanzitutto un passo: uscire dagli anni 90, o almeno riscriverli senza fare copia incolla.

Voto: ◆◇◇◇◇
Label: Black Nutria




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