Sedici è l'esordio ufficiale dei Normal Insane, e la maggior parte degli esordi porta con sé inevitabilmente dei difetti. Cose che si possono perdonare all'inizio della carriera (anche se pare che la band veneta sia in giro da un bel po'), basta che non si esageri. Purtroppo però in questo disco si esagera.
Le prime due tracce,
“Corn Flakes” e “Farfalla”, contengono già difetti non di
poco conto, a partire da una registrazione che privilegia in maniera
massiccia la voce nella prima e la seppellisce sotto gli strumenti
nella seconda, dando già un'immagine generale di poca coesione che,
pur senza estremi simili, si nota in tutte le tredici tracce. La
scelta di privilegiare la voce nella opening track ammazza oltretutto
le dinamiche di una canzone già di per sé non eccezionale, che
paradossalmente trova nei ritornelli i suoi momenti più loffi invece
di dare libero sfogo alla tensione accumulata da strofe in crescendo
continuo: che la scelta di calare il ritmo sia voluta è evidenziata
dagli inserimenti soft di tastiera, ma che la voce non faccia niente
per rimarcare questo cambio di registro è totalmente
controproducente. “Farfalla” inaugura invece una lunga sfilza di
canzoni prese di peso da un revival di musica grunge anni 90, che
sembrano arrivare da due decenni fa più per i suoni vecchi e
totalmente impersonali che non per la fantasia compositiva (che ai
tempi c'era, checchè ne possano dire i detrattori che citeranno
Smells Like Teen Spirit e poco altro), al cui confronto i Nirvana di
inizio carriera sembravano i Pink Floyd. Le tinte cupe regnano
perlopiù sovrane, ma anche quando i suoni si fanno più soft e
solari non si passano certo bei momenti: la storiella surreale di
“Ufo” chiude 4 minuti scarsi di noia con vocalizzi pessimi,
mentre “Toilette” è quasi fastidiosa nella sua mancanza di
idee. Ci sono classiche canzoni cupe in cui le distorsioni si sfogano
in anonimi ritornelli (“Missa”), lenti che vorrebbero essere
ammalianti ma sono solo estenuanti (“Hawaii” e “Glicine”),
pezzi ritmati in cui i suoni risultano peggiori che mai (ascoltare
l'anonima chitarra in secondo piano in “Tango”): si salva giusto
l'allegra ed intensa“Mai”, ma giusto per capirci non è niente di
più di quanto potessero fare senza sforzo i primi Verdena. E se il
cantato fa solo il suo compitino e niente più per tutta la durata
dell'album è nei testi che Denny lascia veramente perplesso,
rimandando al trio bergamasco poc'anzi citato ma con effetti
peggiori: non sono un fan dei testi di Alberto Ferrari, ma le parole
arzigigolate che si va a ricercare (o inventare, stenuo esiste
veramente come parola? Secondo il correttore di Openword no) danno ai
suoi testi un'aria di ermetismo che le banalità infilate nei pezzi
di Normal Insane non possono sperare di raggiungere.
Si può perdonare
l'inesperienza, ma ai Normal Insane mancano i fondamentali.
Innanzitutto un passo: uscire dagli anni 90, o almeno riscriverli
senza fare copia incolla.
Voto: ◆◇◇◇◇
Label: Black Nutria
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