La dichiarazione d’intenti chiama
in causa psichedelia e punk: quale il comune denominatore, a parte la
predilezione per le sostanze tossiche? Sempre che l’inclinazione
all’essenzialità ossessiva sia realizzabile senza droghe sistematicamente e
smisuratamente assunte.
La complessità non è ottenuta
tramite l’accumulo di elementi diversi, ma in virtù della reiterazione di un
reticolo sonoro essenziale, nell’eterno presente di una ciclicità naturale, che
fluisce costante come le stagioni che si susseguono immutate. Gli Hartal! al
loro esordio non temono di erigersi sulla ripetizione di un accordo, che è
fondamentalmente un gesto, né di estinguerla dal primo brano "Uno" a "Barefoot Empire": lo sforzo di sintesi non è depotenziato dalle percussioni
ancestrali né dal salmodiare della voce, che si scava uno spazio nella
progressione del rituale, per poi indietreggiare senza abbandonare la qualità
onirica. Dal cupo lirismo dei Drowning Pool alla lugubre messa esoterica dei
Dead Skeletons, attraversando il purgatorio delle suite dei Godspeed You! Black
Emperor, scarnificate e spogliate di ogni epicità, questa catabasi laica svela
il nichilismo sotteso alla psichedelia, quale possibile autentico nesso con il
punk: il deragliamento programmato di tutti i sensi. Old "Chicken
Makes Good Broth", al di là della primitiva
saggezza del titolo, si struttura su un basso rotondo che richiama gli
apocalittici albori degli anni ’80 nei primissimi Killing Joke; la melodia,
reduplicata dalla sovrapposizione strumentale e più articolata dello scarno e
dilatato recitato della voce, nel finale mantiene la promessa di controllato
abbandono. Il comizio annichilito di "Megaloo V" estende una declamazione decadente su indigeni
suburbani, chiamando all’adunata di massa sull’oscillazione della chitarra e su
disturbanti, lontani allarmi. "Chasing the Beaver" riaccende l’innesco della deflagrazione Killing
Joke, con il suo ansiogeno percuotere e la destrutturata cacofonia indistinta
degli ultimi secondi; ma l’episodio più stupefacente, e probabilmente
stupe-fatto, è la magnifica e struggente suggestione esotica di "Ogoniland", affollata di tamburi e fiumane di chitarre e
stravolta dalla voce in un’esasperazione cannibale; la galassia centrale di
ispirazione Spacemen 3 disorienta, prima che il sax free inietti quell’isteria
irresistibile che ti respinge fuori dalla stanza eppure, al tempo stesso, ti
inchioda, con la tua nausea latente in fondo allo stomaco in fiamme. Il punk in
11 minuti e 51 secondi.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: diNotte Records/V4V Records/Indastria Records
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