Citando a sproposito i benemeriti
Monty Python mi vien da dire “e ora qualcosa di completamente
diverso”. Diversi dal resto i Verbal, e diversi anche da quel che
di sé stessi avevano detto, musicalmente, col sorprendente disco
d'esordio datato 2012. Miscela di math e post rock rigorosamente
strumentale, leggiadra in alcuni punti ma capace di tirar fuori i
muscoli spesso e volentieri, una personalità spiccata installata su
un genere che, quando si hanno le idee, ha ancora tanto da dire. Ed è
forse alla ricerca di cose da dire che i 5 bergamaschi decidono di
fare un passo ulteriore, allargando lo spettro musicale a nuove
influenze con queste 4 tracce che vogliono essere un gustoso
antipasto di un già previsto seguito dell'omonimo esordio. Nuove
sonorità, con tutti i rischi che la sperimentazione comporta.
“MK”, terza traccia dell'Ep, è
sicuramente quella in cui i reduci dal precedente disco si troveranno
più a loro agio. Andamento ipnotico, fraseggi e feedback
chitarristici che si inseriscono su un tappeto ritmico in cui tanto
il basso quanto la batteria si dimostrano efficaci, il brano svolta
delicatamente verso territori più inquieti accompagnato da arpeggi e
rasoiate noise in un crescendo continuo che si esaurisce di botto
lasciando alla batteria il compito di chiudere quasi in solitaria. Un
modo placido per essere introdotti ai nuovi Verbal, in cui si
inserisce anche la novità della voce: la band bergamasca non è più
prettamente strumentale, e lo si capisce già dalla partenza
adrenalinica affidata al brano che dà il titolo all'Ep.
“Called War” è decisamente
spiazzante. Vuoi per la batteria tarantolata, per le chitarre che si
inseguono spesso in maniera “monoaccordica” quasi fossero sirene
d'allarme, ma soprattutto per la voce urlata che unisce all'insolito
collage sonoro una componente hardcore che si spegne a metà brano
per fare spazio a deliri psichedelici, fra synth e riverberi dal mood
rallentato e ipnotico. Il basso, ispirato, fa da collante in un
delirio di suoni che sfocia, quasi naturalmente, nella rilassatezza
in salsa elettronica di “Disarmer”. Ancora una volta è il giro
di basso in sottofondo a prendersi carico di traghettare
l'ascoltatore fra soffusi e a volte graffianti inserti elettronici e
chitarre liquide, su cui una voce leggiadra e riverberata quanto in
“MK” (ma qui ben più presente) crea un'atmosfera quasi chillout,
spazzata via da un ruggito chitarristico a cui solo un suono troppo
secco impedisce di essere più efficace.
L'atmosfera tranquilla che si
respira in “Disarmer” è niente però rispetto alla pacatezza che
traspira dalle rade note della conclusiva “Rearmer”, che a
dispetto del titolo porta la pace dei sensi più che un'improbabile
chiamata alle armi. I vagheggiamenti elettronici si fanno ancora più
presenti, la batteria scompare, e mentre una chitarra continua
imperterrita a proporre note riverberate in sottofondo è quasi
esclusivamente ai synth che il brano si affida per accompagnarci
soavemente alla porta. Un po' imbambolati, e senza ancora un'idea
precisa di ciò che abbiamo attraversato lungo questo breve ma
intenso percorso musicale.
E in effetti mi ci è voluto un
bel po' per scendere a patti con la foga sperimentale di Called War.
Se già di per sé il disco d'esordio non poteva dirsi certo l'album
più accessibile uscito in Italia nel 2012, ora i Verbal cercano di
alzare la metaforica asticella ancora più in alto, una volontà che
si scontra con quella dell'ascoltatore. Perchè alla fine vincono
loro, sia chiaro, ma il tempo per digerire questa nuova pietanza
sonora è più lungo di quello necessario ad approcciarsi ai loro
“vecchi” esperimenti: l'allargamento degli orizzonti ci
restituisce un gruppo che osa solo apparentemente troppo, forse
l'unico appunto da fargli è di non essere riusciti a sfoderare una
carica emotiva degna di quel piccolo capolavoro che rispondeva al
nome di Coronado. Ma c'è ancora tempo per stupire.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: #hashtag
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