Non tutte le band che possono
vantare un approccio all’elettronica maturo e consapevole, che non sia
considerato mera e ruffiana scorciatoia, scelgono la direzione del synth-pop a
scapito della sperimentazione: nel secondo disco, i Welcome Back Sailors sfoggiano il loro morbido
appeal senza temere di essere annoverati tra le file dell’insidiosa categoria
del pop, evitando i lidi più politicamente corretti del minimalismo o
dell’industrial. E se il predecessore Yes/Sun era stato sottoposto a un lavoro di
produzione Do It Yourself, Tourismo
ha subito l’opera artigianale di Andrea Suriani: il prodotto finito entra nel
dettaglio con una pulizia sonora che balza all’orecchio, inducendomi a
concludere che il punto d’arrivo del disco sia la forma estetica e la cura del
bilanciamento tra i suoni, piuttosto che l’impellenza di un contenuto
intellettuale o sentimentale. Dal primo, inafferrabile reticolo di nylon e
materia celeste di Best Friend,
il duo svela la propria familiarità con le schiere del techno-pop, che le
affilate chitarre del post-punk avevano – forse giustamente – trucidato a suo
tempo, non lasciando sopravvissuti sul campo della storia; benché l’inflessione
della voce lasci intuire che l’Europa d’appartenenza sia quella continentale,
senza altra determinazione geografica, Faces rende il tiro più preciso e punta ai Depeche Mode
adolescenti, senza però poter sfoderare la sfacciata indolenza British che la
band di Basildon possedeva sin dagli esordi. È tutto un impasto di trame
sintetiche e lievi refrain ultrapop, anche quando Love is a Mirror rallenta le ritmiche: tra un brano e l’altro, il
disco è un continuum impraticabile, increspato solo da poche gocce di tastiere,
che non avanza mai la pretesa di virare dalla rotta della disinvoltura melodica
di scuola Pet Shop Boys. I Welcome Back Sailors si aggiornano di
circa trent’anni grazie alla voce di Sara Loreni che, da defilata qual era nel pezzo precedente, in Falling
conquista il primo piano accentuando l’atmosfera da clubbing, quasi sorella
minore di Tracey Thorn. La DeLorean
riporta però negli 80s già tra Shinig Blue e l’intermezzo
strumentale di Panorama, fino a sedare
l’incedere, portandolo a pulsazioni meditative, nell’impalpabilità ambient di Lonely
Boy. Gli androidi cool tornano a invadere
il dancefloor grazie al disimpegnato French touch di Something Great, consentendo alla successiva Today, tra tocchi di piano artificiali e beat d’automi, di
mantenere l’attenzione in superficie, senza mai deviare dal percorso tracciato
tra melodie accattivanti e suoni levigatissimi. La forma estetica è cesellata
con una perizia sopra la media rispetto a molte produzioni italiche, ma
l’istinto sotteso rimane poco a fuoco; il piano umanizzato di Act
Like You Are Crazy potrebbe spezzare
l’uniformità, ma il blocco centrale riporta entro i confini dell’electro-pop,
su cui il sax finale mette un definitivo suggello, insinuando in me il sospetto
che i Roxy Music abbiano inciso solo Avalon e che le loro intemperanze dei primi dischi non siano
state che una beffa della storia. Poco importa se la conclusiva Jason
Dill lancia segnali di contatti
intergalattici: gli intenti sono chiari, il pop non è peccato.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: We Were Never Being
Boring/La Barberia Records
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