mercoledì 17 febbraio 2016

Vonneumann - Sitcom Koan (Recensione)

Più o meno un paio di anni fa mi occupai di un disco che mi mandò in crisi. Non perché non mi piacesse, tutt’altro, ma perché non sapevo minimamente come descrivere la musica proposta nelle sette tracce di Il De’ Blues, questo il nome dell’album. Me la cavai scrivendo un racconto, una sorta di trama stereotipata noir che prendeva le fila dalle suggestioni che le canzoni mi lasciavano. Ora i Vonneumann tornano con Sitcom Koan, ed è ancora più dura: se il precedente disco era un’ode alla sperimentazione questo è addirittura un live improvvisato nel 2010 (al Riunione di condominio, locale non più attivo), portato a nuova vita dopo alcuni anni grazie ad alcune sovraincisioni (in maniera Zappiana) che non intaccano comunque quella che è la natura primigenea dell’opera...ovvero la libertà e la follia più pure. I Vonneumann si amano o si odiano, ed io che faccio parte della prima schiera ho l’ingrato compito di intavolare un discorso cercando di capire io stesso perché alcune cose mi sono piaciute ed altre no. Fatte le presentazioni andiamo a cominciare.
L’inizio è composto da corde che si incrociano, che sian di basso o di chitarra poco importa quel che conta è l’atmosfera, oscura, ipnotica, incalzante man mano che ci si avvicina al finale: Requiem Per Foroppo, questo il tiolo della prima traccia, dalla quale balziamo direttamente alla decima, In Sette Lupi, senza alcuna motivazione logica. Undici minuti di un brano estenuante, con rumori vari a tastare la pazienza dell’ascoltatore, vagheggi elettronici ed arpeggi folli, una chitarra in reverse che si insinua pian piano e la tromba che preannuncia la fine del pezzo meno digeribile, se non a tratti: sconsigliato dopo i pasti. Ci suona anche Marco Carcasi su questo pezzo (Kar, Scatole Sonore, Rumore Austero), ma non dicono cosa suona e io non l’ho chiesto.
La batteria c’è poco, solo in qualche brano, a volte aggiunta successivamente in studio come nel caso di Lo Rullantaro, inizialmente una malinconica tromba solitaria su cui arrivano rumorose ed eccessive le percussioni. Ci sono tanti applausi invece (il 98% sono genuini ci tiene a precisare la band) e quelli della conclusiva Completene, inscatolati a dovere, sono la base ritmica su cui aggiungere in studio distorsioni a profusione, pure su synth e batteria: gran gioia per le orecchie quest’improvvisa e catartica furia, almeno quanto la comparsa della batteria e di una lacrimosa tromba alla fine della scarna ed ossessiva Giancarlo International. 8vvv8v ha un tappeto di basso così ipnotico che ti giustifica quanto di folle ci accade sopra, tipo le note convulse di una chitarra tarantolata, ed è un delirio intenso che dura il giusto, quei quasi quattro minuti che ti lasciano sazio senza che la cena ti si ripresenti a letto a toglierti il sonno. Grachtengordel Incompleteness è un viaggio inquietante, un affastellarsi di note in libertà fra trombe, synth, chitarre, basso: se ci trovate uno schema siete geniali o completamente pazzi, ma non è affatto male neanche perdersi lì dentro senza una guida...tanto avete Prelude To Completeness per riprendervi, con la sua scarnissima eviscerazione del tema L’assenza.
DROH sta più o meno in mezzo a tutto quanto, ed è distorta. Dall’inizio, o quasi, alla fine, o quasi. A metà potrebbero esplodervi le orecchie, rumorismo concettuale lo chiamerei se dovessi inventare un genere per definire il brano. Ma non devo.
Di solito qui tiro le fila del discorso, ma siccome non so bene cosa ho scritto chiudo con una citazione, e se non capite da dove l’ho presa mettetevi in castigo da soli: quando non sai cos’è, allora è jazz.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Ammiratore Omonimo Records


grachtengordel incompleteness from vonneumann on Vimeo.

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