mercoledì 4 maggio 2011

The Wombats - This Modern Glitch (Recensione)

Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Sono le band indie-rock a risentire più che mai di questa cosiddetta “sindrome da secondo album”. Infatti la maggior parte dei gruppi della scena musicale indipendente si sciolgono ancor prima di cominciare la loro seconda produzione. Per fortuna non è il caso dei Wombats. Chiaramente sarebbe stato difficile tenere testa al sensazionale album di debutto “A Guide to Love, Loss & Desperation”, ma i Vombati si rimboccano le maniche e dopo ben 4 anni fanno uscire il loro nuovo lavoro “This Modern Glitch” scegliendo di intraprendere una nuova strada, ovvero puntare sull’aspetto psicologico dell’ascoltatore. E’ un album che supera ogni tipo di banalità navigando tra emozioni antitetiche, tra dolore e sollievo, tra instabilità ed equilibrio, tra certezza e nostalgia. E’ un boom di emozioni che ci catapulta in una realtà cinica in cui è stato scaraventato il cantante e tastierista Matthew Murphy, vittima fin dall’adolescenza di un grave stato depressivo che lo ha portato ad avere molteplici attacchi di ansia e insonnia. Questo progetto appare, dunque, come un’autobiografia della psiche tormentata del ragazzo di Liverpool.
Partiamo da “Anti-D”, il pezzo più facile da scrivere secondo “Murph”, data la sua esperienza. Nonostante presenti un ritmo abbastanza lento con rari tocchi di synth, non cade mai nella depressione o nella tristezza per quanto sia possibile, dato che si tratta di una tematica assai delicata, quale un’instabilità emotiva che porta a fare uso spropositato di antidepressivi.
Il primo singolo “Tokyo (Vampires and Wolves)” è il marchio registrato del nuovo suono targato Wombats. E’ una marcia dance-pop che profuma d’oriente, capace di far delirare i propri fans rendendoli protagonisti assoluti di in un viaggio mistico multiforme.
”Schumacher the Champagne” , invece, è tutt’altra cosa. Si discosta del tutto dallo stile dei Vombati. E’un pezzo che sembrerebbe rievocare il suono post punk revival tipico dei Dirty Pretty Things, con la voce di Matthew Murphy modificata a tal punto da somigliare lontanamente a quella di Carl Barat.
E’ “1996” il pezzo più nostalgico. Un chiaro racconto del disagio attuale di Matthew. Rievocando la sua giovinezza spiega: “I’m not cut out for the modern life.“
“Techno Fan” è la prova assoluta che la band è maturata e che si è impegnata nel ricercare nuovi suoni da inserire in questo pezzo, più che mai scorrevole, dove non possono mancare i cori tipici del trio di Liverpool.
Un pezzo che però merita un particolare elogio per il suo suono eccentrico e sprezzante è “Our Perfect Disease”. Un’esplosione di colori e luci in un sound new wave accompagnato dalla batteria cavalcante di Dan Haggis, dalla voce melodica di Matthew Murphy e dal martellante basso di Tord Overland Knudsen.
Ma dalla tempesta di colori si passa al salto nella nebbia. “Jump Into The Fog” infatti è il secondo singolo che ha anticipato il disco. Una canzone soave, profonda, sofistica fino a diventare tortuosa, che parla delle innumerevoli incertezze che ci offuscano l’animo.
Altri pezzi come “Girls/Fast Cars”, “Walking Disasters” e “Last Night I Dreamt..” confermano ancor più un progetto mirato a proporre nuove impronte elettroniche, con una particolare attenzione ai testi, sicuramente meno poetici, ma molto più vicini alla realtà adolescenziale.
Tutto questo nel gradevole e mai banale “This Modern Glitch”.

Label: 14th Floor Records
Voto:




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