martedì 26 luglio 2011

Vandemars - Blaze (Recensione)

"Le avanguardie di Marte" nascono nel 2005 in Toscana e, approdando sul nostro pianeta, incontrano l'uomo (Paolo Benvegnu alla produzione artistica) che li conduce nella creazione di un universo grandioso e variegato che prende il nome di Blaze. Una formazione elettrica a cinque elementi che vede alla propria guida l'estro della cantante Silvia Serrotti che non lascia mai decadere l'attenzione durante l'ascolto. Una voce cangiante che si adegua al mood di ogni singolo brano sapendo essere tagliente, morbida, intensa, aggressiva, donando al disco delle dinamiche particolari che non portano mai all'appiattimento sonoro. L'arrangiamento, inoltre, presenta molti punti a suo favore e risulta svilupparsi nel non scadere in scelte banali o inflazionate. Blaze è un album molto interessante e diverso da prodotti simili per molti versi. L'attrattiva del disco è dovuta in primis all'uso variegato delle sonorità e delle sensazioni, che si evolvono moltissime volte anche all'interno di un solo brano. Dall' indie rock dell'iniziale e tesa "My Cage" che potrebbe ricordare in lontananza band come i Kills, si passa a "Always The Same" che rimanda ai tempi d'oro di Skin e dei suoi Skunk Anansie (ma anche per certe inclinazioni della voce ai dischi solisti di Melissa Auf De Mar) e che affronta apertamente il tema della monotonia, a testimonianza del fatto che i Vandemars si ergono nell'intento di non annoiare pur essendo consci di non presentare alcuna innovazione sostanziale. "Cause your blablabla is always the same. Your blablabla it’s a fuckin’ shame!" Il filo conduttore appare quello di una sorta di umore nero trascinante uno stato di perenne tensione resa tangibile dalla gran miscela di sensazioni avvertite che variano dal rock alternativo di indubbio richiamo Skunk Anansie a immersioni lisergiche puro stile anni'70. Degna di nota è l'aggressività e lo slancio emotivo di "L.L". Con "Circle For Me" l'intenzione è quella di liberarsi da qualsiasi circuito stilistico, in un brano completamente free che spazia tra vari generi (come il jazz rock fusion) e improvvisazioni, aiutato anche dall'ausilio di sax e piano e che unisce l'iniziale dark folk, a progressioni che mirano semplicemente a cambiare continuamente le carte in tavola. La successiva "Naked and Pure" è una ballad che dall' inizio quasi a cappella proseguendo nella crescita strumentale, sembra quasi inserirsi in un contesto di scuola Bristoliana, grazie alla veste sensuale della voce, degna delle migliori cantanti trip hop. In "It's Mine It's Yours" sembra di udire Beth Ditto e i suoi Gossip, almeno fino all'esplosione del ritornello che trasporta il cantato dalle parti di Juliette Lewis e che vanta alla chitarra la partecipazione di mister Benvegnu che ritroviamo anche in "Victim", questa volta intento a duettare con Silvia. Uno dei momenti più alti dell'album, con le due voci ad avvolgersi attorno ad una chitarra acustica che ben si presta a cornice dell'atto più intimo e delicato del disco. "Send It" si sporge verso atmosfere iper distorte, quasi noise e si conferma come uno dei brani più memorabili per l'uso davvero ottimo delle chitarre. A concludere quella che è una vera "vampata" d'energia caratterizzata da una qualità stilistica e tecnica ineccepibile, è "Waiting For The Drummer"che, nel suo cantilenante incedere giunge ad un' esplosione maestosa portando a compimento una delle opere più interessanti e meno scontate degli ultimi tempi, lasciando presagire un florido futuro per una band che merita indubbiamente di inserirsi all'interno del nostro panorama nazionale.


Label: Autoproduzione

Voto: ◆◆◆◇

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