Sebbene delicatamente plagiati interiormente dagli aliti folk dei Black Mountain, gli australiani Cloud Control – qui al debutto con l’album Bliss Release – riescono a stare a galla in quelle evoluzioni indie per via d’una certa predisposizione a stare nel particolare di una sensualità magico/sciamanica, rotolandosi in quel senso liberatorio che non scade nel pop di prassi, ma vola felicemente sulle ali Wilsoniane del surfing condito con spruzzi di psichedelia.
Registrato in cassetta, il disco è un climax perfetto per sognare ad occhi aperti, forse saranno quelle nuvole tanto edulcorate nella stesura totale, ed è il supporto giusto per ascoltare leggerezza e sonorità maneggiata con cura e dedizione, come un compito in bella calligrafia che rassicura e ottimizza in tutta sicurezza la chiamata alla lavagna; chitarre elettriche che sottolineano senza mai affogare il tema cantato, voci corali e organi sixsteen s’impennano come ricordi di Polaroid scattanti e ipnotismi corali acidi e solari nello stesso istante “Gold canary” in cui Alister Wright (frontman) e la bella Heidi Lenferr (keyboards) intrecciano pulsazioni yè-yè di tempi andati e mai tornati.
Tutto quello che ruota qui dentro è accattivante e semplice, al sapore di fine estate, che non conquisterà folle sconfinate ma sarà amato da tanti “periferici” fans che della malinconia positiva ne fanno panacea per i loro istinti personali ed intimi; abbeverarsi a queste strane ma ottime incarnazioni liquide che hanno base negli anni della “liberazione dall’innocenza seventies” significa non riciclare quei brands - magari anche poco convinti – oramai fuoritempo, ma riflettersi in una luce rappresentativa e succhiarne avidamente la linfa vitale per proseguire nel sogno dei sogni, e se poi queste luminescenze arrivano dai sobborghi di una Sydney meticciata e lontana ere dal “miracolo che fu” la cosa assume un valore immenso, un elemento su cui contare notevolmente.
Un debutto di una piccola band che si prende – riuscendoci - la briga di segnare un traguardo da infilare con altrettante piccole pepite sonore che entusiasmano tra i segmenti Stonesiani di “The Rolling Stones”, nella caracollante genuinità di “This is what I said” che trasluce di Wampire Weekend, segmenti che si acquietano nelle spennata folk e looner “Just for now”, “Hollow drums”; briosi eclettismi e cupe ballate bluastre “Beast of love” sono la cartina tornasole di un album dalle giuste intuizioni, una malinconica dolcezza che rivela un talento fresco ed originale nel suo insieme, e se pensiamo poi che siamo nel focus di una terribile crisi economica, ascoltare questo toccasana lenisce di un poco i nostri pensieri grigi, e ci da la voglia clandestina di “evadere” in altri paradisi. Purtroppo non fiscali ma va bene lo stesso!
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Ivy League 2011
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