mercoledì 5 ottobre 2011

Feist - Metals (Recensione)

Feist Metals cover Fresco fresco, ecco a voi il nuovo album di Leslie Feist successore di "The reminder" ( 600000 copie vendute negli USA) che ormai risale a oltre quattro anni fa. Il disco della 35enne cantautrice, che fa parte del grande collettivo dei Broken Social Scene, si intitola "Metals" è arrivato nei negozi da appena due giorni ed è composto da dodici brani prodotti con Chilly Gonzales e Mocky, con il fondamentale apporto di Valgeir Sigurdsson. La prima cosa che mi è letteralmente saltata dall'orecchio alla testa ascoltandolo è stata una sensazione strana, come se il disco fosse diviso in due parti, una caratteristica netta anche se le due componenti non "spezzano" la continuità dell'ascolto: canzoni dal respiro ampio sospinte da una ritmica più accentuata e dal vasto spazio riservato a cori e archi. Di contro Feist profonde la stessa sensibilità in pezzi quasi funerei e dark nella loro lentezza, canzoni queste che fanno dell'essenzialità una caratteristica principe.
La chitarra detta i tempi e le atmosfere generali, anche quando è più nascosta rimane il nord magnetico del disco; eppoi c'è la sua voce: Feist gorgheggia come al suo solito, ma senza mai sbavare. Gioca con le note, quelle basse come in Graveyard, leggera ma mai eterea creando l'armonia giusta tra i bassi della musica e gli alti di una voce che segna una presenza. Il disco si fa attraversare, da Caught A Long Wind, una marcetta a passo di battimani, a How Come You Never Go There che ha la firma di Feist, con quegli accenti calcati alla fine di ogni verso, canzone non a caso scelta per essere il primo singolo. Bisogna dire però che ogni pezzo è fortemente caratterizzato, cosa che sorprendentemente da vita ad un album che conserva una certà varietà ma allo stesso tempo rimane estremamente omogeneo: tante pennellate diverse quindi che mescolandosi e sovrapponendosi vanno a comporre un quadro bellissimo. Proseguendo nell'ascolto ci troviamo poi di fronte a pezzi come The Circle Married the Line che segnano una sorta di ritorno a quel taglio folk già apprezzato nei lavori passati, sia nell'intonazione che nell'atmosfera acustica, quasi da cameretta.
Insomma, continuo negli ascolti e ho come l'impressione di trovarmi davanti a un album con un architettura perfetta ma non fredda, come già mi era accaduto con altri lavori di diverse artiste (Joan as police woman, Anna Calvi) e allora penso di poter definire questo 2011 come l'anno delle donne che fanno passi importanti, che non hanno paura di veleggiare barra a dritta, senza ripetersi e lasciando indietro i timori di cambiare. Avevo già parlato di concetti quali crescita o maturazione, in occasione dell'uscita di altri album e qui mi tocca ripetermi: forse le parole (da considerare come mere etichette) non sono quelle giuste, ma si avvicinano molto al pensiero che vorrei esprimere. Perché in fondo cos'è che si fa andando avanti, alla ricerca di un nuovo spazio da occupare, alzando costantemente il rischio di poter sbagliare, se non crescere? A rileggerla sembra una definizione da manuale. L'album prosegue con Anti-Pioneer un pezzo intimista, dove l'incedere perde forza e ci si guarda intorno avendo la possibilità di riprendere fiato e assorbire. The Undiscovered First rappresenta bene la dinamica di molte canzoni comprese in "Metals", una costruzione in crescendo fino a che tutti gli elementi si fondono, lasciandoci scivolare sulla coda del pezzo: una voce che viene da lontano prosegue nel ritornello fino a spegnersi. Cicadas & Gulls e Comfort Me torna il tema folk del disco che ci accompagna verso la chiusura:
Get It Wrong, Get It Right è un vero gioiellino intimista che raccoglie perfettamente tutte le atmosfere del disco. Chiudo gli occhi e mi sembra che Feist stia cantando davanti a una persona sola e solo per lei. Mi illudo ancora un po' fino ad immaginare di essere io quel fortunato.

Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Cherrytree/Interscope

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