giovedì 19 gennaio 2012

Vintage Trouble – The bomb Shelter session (Recensione)

Vintage Trouble – The bomb Shelter sessionFiatone, oh dolce fiatone! A stare dietro a questo diamante bianco dalla pelle nera “The bomb Shelter session” dei Losangelini Vintage Troubles c’è da perdere salute, chili superflui e orari concatenati con impegni ordinari che condannano l’esistenza al guinzaglio del tempo, ma è un sacrificio che si fa con libidine e con devozione verso il suono dei suoni, quel R&B nero come la notte dei tempi e fondo come l’animo emotivo di un ossesso figlio del diavolo.

Siamo fuori dalle rotte indie e da naufragi post-industrial, siamo fortemente coesi alle radici della black music per un immenso salto di qualità stilistico che oltre che inventare il tutto non ha cedimenti di sorta, praticamente il Vangelo e la Bibbia della musica che non si sono mai chiusi in un ciclo; ami alla follia i Black Crowes? Questa band fa al caso tuo, e la straordinaria voce nera “tossicona” di Ty Taylor – unico nero certificato del quartetto – è un caldo invito a lasciarsi andare ai ritmi frenetici e alle pomiciate soul che quest’album distribuisce come un dispenser 24/24; grande blues rock che dalla cassa di risonanza della California, terra della band, arriva sugli scaffali di tutto il mondo terremotando con il sound dei sound, col fremito sex & soul dei tardi anni Cinquanta, i nostri impianti stereo.

Prodotti dal mitico Doc McGhee (James Brown), il quartetto americano si scioglie in mille effusioni, decreta move-it a comando, e stordisce i sensi che si contorcono come anguille al passaggio di R’N’Blues da manuale “Still and always will”, “Jazzbella”, “Total strangers”, e i ricordi volano alti sulle atmosfere di Wilson Pickett, Marvin Gaye, Otis Redding, Jim Croce, ma per restare ai nostri giorni, altre similitudini possono raccordarsi con le coordinate rock di KravitzNancy Lee”, tuffarsi nelle ambrosie folksoul di Ben Harper e Jeff BuckleyNot alright by me”, adombrarsi nei movimenti di bacino di Seal Nobody told me”, fino ad inoltrarsi nelle sofferenze indie di un Jack White alla ricerca di una propria anima da guarire “Run outta you”.

Chiaramente un disco di radici più che fiori, ma un disco di vacuum esorbitante, esplosivo, che ancora una volta detta le regole della vera musica, quella che fece gioire e piangere molto prima del vagito arrogante del rock, ad ogni modo un prodotto sonico per intenditori e neofiti che vorrebbero avere “la pelle nera” come prima dotazione fisica, se avete colto il punto.

Voto: ◆◆◆
Label: Vintage Trouble


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