venerdì 9 marzo 2012

The Churchill Outfit – tCO (Recensione)

The Churchill Outfit - tCOLontano da ogni forma glamour che li possa inquadrettare in un qualcosa di stretto, di smilzo, foss’anche anche quella – logora oramai – indie o alternative-rock, i bresciani The Churchill Outfit sono gente discreta, vera, che sembrano quasi volersi nascondere nella loro bella musica, un artigianato pregevole che crea canzoni affascinanti, pezzi che si muovono liberamente con passo meticciato dai registri a tratti psichedelici, spesso rock, rarefazioni folkly, pregni di quel talento atmosferico che fa venire voglia di andare a cercarli in qualsiasi momento pur di ricaricarsi di sopraffino.

Questo è l’esordio ufficiale che porta lo stesso nome della band, nove tracce che hanno come filologia caratteriale quella trasversalità d’ascolto molto interessante, quella reale surrealità che s’incastra tra giri armonici e fiamme elettriche educate che lasciano quella vena di trasporto che solo un vinile può vantarsi a fanfarone di avere; un disco sgrassato da orpelli e passamanerie, diretto e imperniato su touches Brit, carezze metafisiche, visioni psich ed autonomie alla Arctic Monkeys, con tutta quella percezione dominante di fare anche il passo secondo la gamba, praticamente un disco arrampicato in alto senza mai rimanerci fisso, uno yo-yo di belle divagazioni sonore che odorano di prossima santità laica, molto vicino al grande jump.

Le dissertazioni che si possono avere, sentire e godere, sono frutto di una cristallina nostalgia per le composizioni stratificate, quelle con doppia anima ma ad unica mandata, quelle che le ascolti e ti personalizzano una dimensione tutta tua, a secondo di come le ascolti o ti poni all’ascolto, quella libertà d’intendimento che, quando ascolti gli istinti FloydianiFaceless”, le frenesie anni sessanta al peyotl BarrettianoTongue like a trigger”, “A thousand miles away”, il trip quadrophonico “Calypso”, o guardi nella pupilla malata di visioni colorate di YorkeKaleidocopic”, ti immergi nelle magnificenze della ballata di un Plant racounteur “Love, more, uh” fino a perdere la bussola tra le maglie magiche delle pozioni stroboscopiche di marchio Grateful Dead/RacounteurSomething to hide”, si ha la stupenda sensazione di essere dentro lo stereo e non esserne ascoltatore al di qua dei diffusori sonori, al secolo le “casse”.

TCO cercano ispirazione nelle dorate vecchie astanterie dei Settanta per ricamarle nell’oggi, mettono ulteriori alamari al bavero della storia per ricrearne un’altra di storia, magari nel piccolo, ma storia da crescere, con la dolce spregiudicatezza che gli compete e con la libertà che si conquistano passo passo; con “In a dark times” avevano promesso e mantenuto, ora con il “loro nome” ribadiscono il concetto: Noi Non Scherziamo!

Voto: ◆◆◆
Label: Dada Dischi 2012


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