giovedì 21 febbraio 2013

VRCVS - ST/01 (Recensione)

La moda del momento pare essere un ritorno alle cupe sonorità new wave anni ’80, a quell’elettronica in nuce di altezzosa, seppur imperfetta, bellezza. E una certa scena indie italiana, oggi, sembra indirizzarsi su queste sonorità cupe, tristi e dilanianti, tra questi spazi immensi coperti di nebbia, dove la luce arriva così filtrata da risultare uno straccio di grigio.

Pochi mesi fa il primo vagito di questa neo-rinata retroguardia, l’invitto e adamantino “Settimana” di HAVAH, i discreti lavori dei romani Ancien Regime ed ecco che i primi mesi di questo 2013 (un numero profeticamente altero) un nuovo lavoro di marmorea beltà.

VRCVS (si legge URCUS) è la creatura di Filippo Rieder, in arte Pilipella, imperioso batterista dei Fine Before You Came. Qui, lasciate le pelli destinate ai viaggi emotivi del suo gruppo principale, si concentra su sonorità sintetiche, batterie elettroniche robotizzate, synth di cupezza astrale e viaggi cosmici in altre dimensioni. Lo accompagnano in questo viaggio gli amici di sempre, compagni di un percorso iniziato tanti anni fa.
Ancora una volta è Jacopo Lietti a interpretare i sentimenti, creando una continua sinapsi tra suoni e parole creando suggestioni di abbacinante chiarezza. E Jacopo, ancora una volta, supera la ricerca del dolore bianco, quel dolore di fondo che, come il rumore del traffico, ci accompagna per tutta la vita, instancabilmente. "Expo", che apre l’EP di 4 pezzi, è un glaciale cavalcata dalle cupe sonorità teutoniche, i rimandi ai Kraftwerk più crepuscolari e ancora legati alla matrice kraut sono netti, come la sensazione di venir rapiti dalle rotte disegnate da Pilipella, lunghissime autostrade di cemento ponti sospesi sul nulla come i maiali di Animals dei Pink Floyd.
"Buone Nuove" si apre appoggiandosi su una drum machine morbida, per poi sciogliersi in una melodia dal sapore quasi blade runneriano, con arpeggi di chitarra che contrappuntano i sintetizzatori amplificando l’agrodolce sapore del pezzo.
"Gengive" non è un pezzo normale, non è uno di quelli da ascoltare mentre si fa la spesa o si aspetta la morosa alla fermata del tram. Gengive, sin dal titolo (quasi a rappresentare il dolore, la carne viva a contatto con il mondo) è una di quelle canzoni che ha bisogno di particolare attenzione, un pezzo per il quale è giusto fermarsi un attimo, riflettere e riprendere a respirare, con calma. L’incedere classicamente new wave si basa su un basso di granito, una drum machine glaciale e una chitarra di diaframmiana memoria che con i suoi arpeggi colora il pezzo. E poi c'è il cantato, filtrato da lontano, che apre le porte sullo strapiombo dell’anima. Probabilmente uno dei migliori testi mai scritti da Lietti, uno squarcio enorme nel petto, con le labbra della ferita già terribilmente colorate di una nera necrosi, “facciamo schifo amore mio/puzziamo delle cattiverie che ci siamo dati addosso/facciamo schifo amore mio/la gente dovrebbe evitarci, non guardarci negli occhi/non sfiorarci".

Non so quanto là fuori vedranno se stessi tra le pieghe di queste parole. e quanti - vedendo i tratti della loro storia e della loro vita - si sentiranno pronti per affrontare il peso di un confronto condotto in modo così giusto e così vero. la realtà si spalanca e abbaglia, acceca. Mentre il pezzo si quieta tra synth circolari e la marcia dettata dal drumming, ci si sente svuotati, e come la melodia che chiude il pezzo ci si avvinghia su se stessi.

"Filadelfia" è uno strumentale che chiude l’EP, finalmente la melodia lascia uno spiraglio alla speranza, uno sguardo positivo verso il domani, dopo tanti pensieri. Nonostante i suoni dell'ep risultino un poco pomposi e puliti, rispetto alla ricercata sofferenza dell'opera, VRCVS verrà di certo ricordato come un punto di partenza, come il già citato Havah.
Filadelfia, mi ricorda la sigla di “Jonathan missione avventura”, e non so se sono più scemo a fare questo accostamento o più folle nel ricordarmi l’esistenza di “Jonathan missione avventura”.
Ricordi di tanto tempo fa, non come VRCVS che invece è la colonna sonora dell’oggi, del disagio dell’oggi.

Si stava meglio quando si stava meglio.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Autoproduzione



2 comments:

Fuck The Glory Days ha detto...

grandi

Andrea Consonni ha detto...

A me è piaciuto molto. E mi sono commosso.

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