Da oltre tre lustri il succedersi
degli anni è segnato con inesorabile esattezza dalle uscite discografiche dei
Fall: ogni nuovo lavoro sgocciola come mercurio dalla mente arguta e feroce di
Mark E. Smith, impastato della medesima sostanza del precedente e ideale
preludio al successivo.
Se non amate l’incalzare
ansiogeno e il suono cinerino dei mancuniani o se mal tollerate il ghigno
malefico del tirannico e autarchico leader, la serialità con cui i loro lavori
si susseguono apparirà come una superflua ripetizione di uno stereotipo
codificato all’indomani del punk e ostinatamente riproposto nell’immobilità di
un eterno presente; anno dopo anno, anch’io mi impongo di prendere le distanze
dall’ennesimo capitolo della personale caduta di Smith, e tento di arrivare a
decretare la fine della mia affezione al perpetuo sferragliare dei Fall.
Anno dopo anno, nulla però cambia
e ancora mi ritrovo a scuotere la testa insieme annuendo compiaciuta e ballando
elettrizzata, come sul garage post-atomico e indolente di Sir William Wray, scandita dal balbettare ottuso di Smith, o sullo
scheletrico tittyshaker di Kinder of Spine. L’asettica minaccia spiraliforme di Noise prelude alla desertificazione chitarristica di Hittite
Man, che allunga la reiterazione
allucinatoria sin nello spoken
atterrito di Pre-MDMA Years; il
party da discarica o camposanto riparte con il riff svogliato e dondolante di No
Respects rev. e con il synth antidiluviano
di Victrola Time. Smith persevera
nel suo tagliente lamento sul discontinuo oscillare di Irish e sulla sommessa marcia di Jetplane, deragliando negli ultimi istanti in un rantolo
imperscrutabile e lontano. Jam Song
martella perentoria e stordita verso l’epilogo dell’incubo, sigillato non da un
blando defilarsi ma rinvigorito, con la conclusiva Loadstones, dall’ennesimo gorgo metallico.
Nel 1980 Mark E. Smith, poco più
che ventenne ma già adorabilmente indisponente, annunciava l’aspirazione a
invecchiare come il malconcio animale da pub immortalato nell’omaggio alla working
class nordista di Fiery Jack: la solitaria pervicacia con cui ha nutrito la
propria creatura sonora fa sospettare, però, che in realtà abbia sempre covato
il malcelato progetto di continuare a infestare la scena musicale con le sue
annuali e caparbie apparizioni, infaticabilmente mosso da una presunzione
smisurata e da una precisa intenzione molesta verso il genere umano.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Cherry Red Records
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