Ma questa “ossessione del
passato che sembra permeare la cultura pop
contemporanea” non è solo l’esito prefigurato da Simon Reynolds del reiterato
shuffle digitale o del collezionismo museale; è in questo caso l’affermazione
di un’inguaribile monomania, una fascinazione irresistibile per un suono
desueto e insieme l’ossessione fanatica – al limite della mono-tonia – per un
immaginario circoscritto a una precisa temperie musicale e culturale. Così, tra
nuggets, pebbles e detriti di varia natura, i Plastic Man da Firenze ammettono
senza riserve il proprio debito, sin dal nome mutuato dalla band di Ray Davies. "He Didn’t Know" esordisce con un
riff zuccheroso e insistente, che sa sospendersi in attese improvvise prive di
tensione; l’acida "Trap", sebbene
non eguagli la malvagità del cavernoso garage di John Dwyer, tuttavia inietta
oscuri fluidi lisergici che serpeggiano sullo straniato dondolio ritmico. Il
maleficio è stemperato dalla sghemba "Light and Dark", la cui asciutta melodia dirada gli incubi foschi
per aprire fantasmagorie ben più caleidoscopiche; Atlantis chiude l’EP con un classico fluttuare piacevolmente
innocuo.
In qualche misura condivido la
diffidente lungimiranza di Reynolds, e inizio a sospettare che, prima o poi,
verremo soffocati da questa coltre di distorsioni, echi, saturazioni e riff
ipnotici; che insomma il mondo finirà not with a bang, but with a reverb.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Teen Sound Records
1 comments:
The World will definitely end with a reverb.
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.