Modotti, omaggio all'attrice e fotografa friulana Tina. Un power trio ferrarese giunto al secondo atto con Migranti, una convincente miscela di post-math rock e hardcore, quasi come a veder sfilare tutte insieme nel lettore band come Unwound, Shellac, Slint e Bastro, coniugate all'italico idioma e sotto forma di una passione travolgente per le sonorità proposte. Chitarre affilate come rasoi e un comparto ritmico nervoso sono la giusta base sulla quale i Modotti costruiscono le fondamenta per tematiche come incomunicabilità, rabbia, paura e amore. Una grande perizia tecnica che si sviluppa in otto episodi di forte impatto, avvincenti e diretti come un pugno allo stomaco. Dalla partenza post-core di "Stazione Termini", nell'attesa di una rivoluzione ("in queste strade sconvolte dal caos/Siamo qui per dirti/Stiamo partendo verso un mondo diverso/Da questa stazione...), ai strumentali risvolti jazzati su geometrie di "Ray", si accoglie timidamente la malinconia di "T(E)ss", (richiesta di salvezza di un amore oltre i propri limiti), e si scuote la testa sulle impennate abrasive di "Glossolalia". A dar man forte arrivano a puntino le dissonanze instrumental di "J. Curcas", i vuoti esistenziali, le teorie scientifiche e gli elementi naturali di "Boyle" e la coralità sul finale della bordata punk "Migranti" ("Migrazioni Contaminazioni/Case lasciate/Persone abbandonate/Chi si muove e chi sta fermo")
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