sabato 4 agosto 2012

The Offspring - Days Go By (Recensione)

Già la cover è di una eloquenza disarmante, si potrebbe tradurre in “ se con gli anni che avanzano le idee latitano e di conseguenza non si ha più nulla da dire” che stiamo a fare dischi su dischi pur di tenere fresco il cadavere che puzza? (The Commitments); nulla di più sacrosanto, il tempo (25 anni) discografico dei californiani The Offspring ha scoccato la sua ora, i cavalloni, il surf, i muscoli tonici e i denti bianchissimi del punk Usa anni novanta non esistono più se non in qualche cartolina da collezionisti cocciuti, ora è il momento delle riflessioni amare e dei disegni di una vita da recuperare, e questo “Days go by” ne è una bozza, deboluccia, ma di una bozza trattasi.

Giunti al nono album, il primo col nuovo batterista Pete Parada e prodotto da Bob Rock (Metallica, Bon Jovi), Dexter Holland, Noodles Wasserman e Greg K fanno i patti con se stessi, si rendono conto che la “gioventù sonica scapestrata” del punk-surf non è cosa più per loro, mantengono ancora quella freschezza forzata evergreen ma – andando con l’orecchio fin dentro le intercapedini della tracklist – i toni e le intenzioni energetiche d’un tempo sono meno – di molto – calcate e l’America giocosa e fancazzista tanto citata nei loro album ora ha un altro volto, scuro e serio, ha problemi e risposte a cui dar conto; dodici pezzi che si fanno meno ortodosse, sorridono meno e sono screziati da una infinità di stili come a – concedetemi la libertà espressiva – upgredizzare la loro matrice punkyes a nuovi stimoli e farla passare come “un qualcosa di antico che sa di nuovo”, ma è un tentativo che sebbene potrebbe ancora reggersi sulle proprie gambe, fallisce in una sequenziale giostra già fidelizzata da band come Foo Fighters et similia.

Il maldestro tentativo nu-metal che guizza in “Dirty magic”, “Turning into you”, lo speed anfetaminico giovanile di un corpo suono piatto “Secrets from the underground”, la mossetta da cheerleaders sculettante “I wanna secret family (With you)” o il reggae-rap artritico al sabor de chili che vorrebbe “piccare” dentro improbabili hit-tunes “”OC guns”, non fanno altro che giustificare la copertina dell’album, che nei suoi cromatismi tristi nei toni e alquanto realisti nel messaggio urla in silenzio che è ora di lasciare il timone e passare il testimone a altri giovani futuri eroi. E’ una ruota, tocca a tutti prima o poi, l’importante è accorgersene in tempo per non ridicolizzare se stessi.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Columbia 2012


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