martedì 11 settembre 2012

Mono - For My Parents (Recensione)

E' proprio vero che ciò che più ci aggrada è in realtà mutevole e soggetto ai periodi, o più semplicemente ai giorni, della nostra vita. Lo spiegano bene i Mono, con i loro dodici anni di esperienza musicale all'attivo. Loro, che sono passati attraverso il crollo delle Torri Gemelle prima ed il terremoto in Giappone poi, caricano di senso e significato i pezzi e gli interi album, forti di un ben fatto post-rock dall'ampio respiro orchestrale. E' cosi che dopo tre anni dal pluri recensito 'Hymn To The Immortal Wind' viene prodotto 'For My Parents' composto da soli cinque brani, dalla copertina con l'immagine di due persone mano per mano che sfociano nel bianco. Pubblicato il 4 settembre ha già avuto pareri non troppo positivi, alcuni che calcano le orme de "il post-rock è morto" altri che invece reclamano picchi emotivi meno intensi, ma più dilatati nel corso dei dieci minuti medi delle tracce nipponiche, rispetto ai precedenti album. Io trovo 'For My Parents' un capolavoro, che mantiene alto l'onore della band giapponese ed, in questo caso, della Wordless Music Orchestra che ha collaborato con loro, cosi come per il cd live del 2010 'Holy Ground'.  Ed è proprio questo aggiungersi di archi e violini alle distorsioni delle chitarre di Takaakira Goto e Yoda che fa si che i crescendo non siano statici o noiosi, bensi tanti piccoli mari in cui immergersi. L'intero album potrebbe essere una perfetta soundtrack di un fantasy movie, partendo con l'epicità di "Legend" passando per i tempi fuorvianti di "Nostalgia" arrivando all'epopea dell'orchestra in "Dream Odyssey", ma sono gli ultimi due brani a sottolineare la volontà del disco, se pur non brillando di alcun fregio musicale, ma portandosi dietro quella carica emotiva attraverso il nome stesso "Unseen Harbor" e "A Quiet Place_ Together we go".  Nessuna parola, come da copione, a scandire tempi o sensazioni, ma come ho scritto all'inizio questi pezzi, carichi di senso, hanno un andamento studiato in base a questo e ciò fa si che magari noi non riusciremo a carpire il vero significato, ma sicuramente non potremo esimerci dall'aggiungerne un nostro, personale, che si basa sul nostro periodo e sulla nostra privatissima esperienza.  Forse è proprio questo che non lascia il Post Rock morente ad un angolino della storia della musica contemporanea: di certo non è l'unico genere privo di testo o carico di pathos, ma sicuramente è il più adatto alle contaminazioni, vedi in questo caso la musica classica tanto amata dai giapponesi tutti in quanto parte della loro cultura, e quindi alla miscelazione di ritmi e tempi che permettono a chi ascolta di adattarci i diversi stati d'animo del suo cuore. Del resto io mi sono lasciata coinvolgere dal momento in cui ho letto il titolo del disco e non ho smesso fino alla chiusura 'da Teatro dell'Opera ', ma forse è solo il significato giusto nel periodo giusto.

Voto: 
Label: Temporary Residence

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