Se la strada per l’inferno è
paradossalmente lastricata di buoni propositi, anche la via verso l’aggressione
sonora del nuovo disco dei La Dispute è asfaltata dagli intenti benefici, ma in
modo molto meno metaforico: Rooms of the House esce per l’etichetta Better
Living, fondata dalla band con lo scopo di creare un collettivo di musicisti
socialmente sensibile, obiettivo confermato dalla scelta di devolvere parte del
ricavato dell’album a organizzazioni di beneficenza. Ma non solo le finalità
filantropiche anticipano l’ascolto del disco: il preambolo è anche il concept che si dipana attraverso dodici micro-narrazioni,
ovvero la storia di una famiglia analizzata attraverso le stanze della casa in
cui vive.
Tuttavia l’elemento dirimente,
che tenta di rendere vigoroso ed efficace quello che altrimenti sarebbe
semplicemente un buon disco, è la voce di John Dreyer: ostinatamente aggrappato
alle note e probabilmente all’esistenza, fa la differenza ogni volta che apre bocca.
Questa nuova prova dei ragazzi di Grand Rapids, Michigan, potrebbe essere
ascritta agli At The Drive-In sotto Tavor per compattezza e omogeneità,
distribuite ad esempio in "First Reactions After Falling Through The Ice" con una disinvoltura che finisce per avere uno
spiacevole effetto disorientante su di me, abituata ad ascolti pervasi di goffa
isteria. I La Dispute esordiscono sempre con incipit dalle promesse auree, che
però disattendono puntualmente, scivolando nell’indifferenza: "Woman
(in mirror)" nasce circospetta e mutilata da
una sottrazione vincente, ma si defila presto quasi temendo di scalfire
l’innocua convenzionalità; Scenes from "Highways 1981-2001" potrebbe essere un esperimento di laboratorio volto
a provare cosa ne sarebbe stato dei Fugazi se fossero stati più a modo e meno
feroci, come dimostra anche la chitarra poderosamente quadrata di "For
Mayor" in "Splitsville", su cui si srotola una
climax senza freni di parole. Il parossismo iperamericano intriso di amarezza
repressa è palpabile e incombe anche nell’esordio controllato di 35, tenuto a bada prima che una fretta malcelata
irrompa, in un continuo trascinare il compatto strato di chitarre con liriche
inesauribili, mentre il drumming sullo sfondo quasi scompare.
Un vago senso di minaccia aleggia,
generato dalla sensazione che i La Dispute vorrebbero stipare tutto
l’esprimibile in poco più di quaranta minuti, ora nello scontro a fuoco di "Stay
Happy There" tra Dreyer e la batteria, in
cui è sempre la voce ad avere la meglio, ora nella potenza convenzionale di "Extraordinary
Dinner Party", riscattata dalla linea vocale convinta e convincente. Ma lo sforzo esacerbato non si traduce in una
forma espressiva dilaniata, aperta e votata all’incompiutezza, bensì in un
monolite sonoro che i critici musicali di mestiere definirebbero granitico.
Avrei adorato questo disco se avesse suonato tutto come i primi ventisei
secondi.
Voto: ◆◆◇◇◇
Label: Better Living
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