Gli STRi sono un duo pesarese di musica catalogabile a metà tra il post-rock e l'elettronica Big Beat anni '90, qui al loro primo lavoro. Lungo l'arco di otto brani, sebbene all'ascolto possano sembrare delle bozze da sviluppare ulteriormente, i due musicisti esibiscono un background che affonda pienamente le radici nella musica elettronica inglese di un certo tipo, ricalcando prepotentemente il modello degli Underworld, in particolare quello degli ultimi lavori. Infatti Oblivion with bells e, soprattutto, Barking, sono riferimenti obbligati utili a definire, seppure in misura molto più scarna degli originali, l'insieme delle sonorità proposte. Si comincia allora da brani come Coeur cache e LL, caratterizzati da una ritmica da ballo sormontata da un cantato post-rock e da una atmosfera vellutata vicina ad un sound più atmosferico, per poi sfociare in un episodio come Summerize, primo singolo estratto dall'album, leggermente più tirato, che dimostra più mordente e che allo stesso tempo mantiene una sonorità "estiva" come da titolo, questo è anche uno dei brani più vicini ai nuovi Underworld. Insomma, nulla di particolarmente entusiasmante, ma pur sempre una buona prova da parte di musicisti italiani. Le successive Conifere e Caldo spostano il baricentro verso un suono più ragionato e rallentato, più atmosferico e meno ballabile, più vicino a certo post-rock. Dopo un calo di tensione forse troppo lungo arriva Ranma, altro brano vicino a Karl Hyde. Ritmiche drum 'n bass sulle quali si erge il tappeto atmosferico e la voce sognante post-rock di chi punta all'espressione di stati d'animo piuttosto che ad un minimalismo ritmico o alla denuncia. Il duo riprende la strada della riflessione con la successiva Wimbo e con la breve e conclusiva Canyon, che dà il titolo all'album. Questi ultimi brani utilizzano una ritmica più tribaleggiante mantenendo quell'aura di base che punta sul ragionamento e sull'estremo controllo dei suoni. Se da un lato il duo marchigiano si dimostra capace di creare situazioni stilistiche di buon livello emulando i grandi maestri inglesi, tuttavia l'eccessivo controllo delle strutture e i momenti a tratti riempitivi li rendono noiosi e prevedibili, per quanto ineccepibili. Inoltre non giova il senso di incompletezza che si percepisce alla fine dell'ascolto delle tracce, vengono presentate delle buone idee, ma bisogna svilupparle dandogli un maggiore senso di compiutezza. Un disco tutto sommato piacevole ma che non fa gridare al miracolo.
Voto: ◆◆◆◇◇
Autoproduzione
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