martedì 31 maggio 2011

Crimen - Lies Ep (Recensione)

Chi fa da sé fa per tre. E chi fa da sé così bene è più che meritevole di ritagliarsi una buon seguito di adepti e di essere citato come uno dei gruppi italiani più sottovalutati e misconosciuti. Sto parlando dei Crimen, band romana nata nel 2007 che, dopo il demo datato 2009, viene contattata dal musicista e produttore americano Mark Kramer (al lavoro già con artisti del calibro di John Zorn, Low, Galaxie 500, Robert Wyatt, Daniel Johnston) e dà alla luce questo Lies Ep. Autoprodotto, autodistribuito, registrato in presa diretta in un unica sessione e rilasciato sotto Creative Commons: parliamo di un'opera di indubbio valore e che meriterebbe molti più apprezzamenti e riconoscenze. Dietro ai Crimen si celano tre musicisti di Roma dai curiosi appellattivi, Visconte Cobram (Patrizio Strippoli), Abominevole Uomo delle Nevi (Fabio Prati) e Cristo Fluorescente (Simone Greco). Questo Ep delinea le caratteristiche di una band cresciuta a suon di pane e anni '90. Il risultato finale è un sunto della miglior tradizione nineties, tra post-rock, no-wave e noise. Un disco degno della Touch and Go Records. Quattro brani, più una intro fuori di testa che conferma in modo significativo le aspettative del titolo “Do Something Strange (and you'll be a conceptual artist). L'hardcore ruvido e trascinante di “P.P. Not Enough” rimanda a band come Bastro o Drive Like Jeuh, e diretto come un pugno allo stomaco, mozza il fiato e ci conduce all'interno di questo Extended Play. Poi è la volta di “Cold Winter Song” una ballad post rock, atmosferica e stupenda come poche. Segue la strumentale “Revolution of the Black Tulip” in bilico tra le due anime dei Crimen, perfetti adepti della scena che meno fu sotto i riflettori negli anni '90. Tra sfuriate noise, riverberi, arpeggi delicati e ritmiche schizofreniche, questa si conferma come la traccia più istintiva della band. La finale “40.000 Lies”, rappresenta il fiore all'occhiello di questo Ep. Con i suoi oltre undici minuti è la perfetta realizzazione di un crescendo d' atmosfera e pathos. Degna dei pezzi più spettrali dei God Machine ai quali la parte iniziale (che regala un reading da pelle d'oca) fortemente rimanda, risorge da un silenzio tenebroso nello sfoderare energie lisergiche e oblianti, allentando la morsa quando meno te lo aspetti e chiudendo con classe Lies. Quello di cui vi ho appena parlato è un lavoro intenso, i quali spunti compositivi seppur sempre presenti ed in piena luce, non rasentano mai il plagio e descrivono una band pienamente ispirata e con una passione sempre vivida e abrasiva. Lavoro godibilissimo e di grande impatto che consiglio indiscriminatamente.

Label: Autoproduzione

Voto: ◆◆◆◆◇

Potete ascoltare e scaricare i Crimen qui

lunedì 30 maggio 2011

Verdena - Radar (Ejabbabbaje) (Recensione)

"I Verdena oggi sono il più grande, giovane gruppo italiano. Riempiono i palasport e hanno fatto un disco doppio, WOW, che contro ogni previsione ha scalato le classifiche: una vera rivoluzione. Che abbiamo deciso di combattere con loro. Partendo da un pollaio". XL La Repubblica

Mi è sembrato doveroso iniziare citando queste parole dei giornalisti di XL, perché penso che i giornali, quindi le edicole sono diventati i punti di riferimento più sicuri per l'acquisto di alcune rarità musicali. Perché alcuni dischi attraverso le edicole sono più reperibili. Come è accaduto di recente anche per "La Nave sta arrivando" di Vinicio Capossela, anche i Verdena pubblicano un loro album di inediti per XL.
In un periodo in cui i negozi di dischi si contano sulla punta delle dita, sapere che c'è ancora una speranza per chi è stufo di fare chilometri per acquistare un disco, fa tutto ben sperare. Trovare un disco in allegato ad un giornale è una soluzione vincente in questi tempi, dove la rete sta facendo a pezzi le case discografiche.
"Radar (Ejabbabaje)" è un album che esce dopo quattro mesi buoni dalla pubblicazione di WOW, e come abbiamo potuto leggere giorni fa nella nostra news, anch'esso ha un titolo palindromo, e in copertina, spiega Luca Ferrari "sono due specie di pippottini, due personaggi con un occhio solo". Possiamo dire tranquillamente che quest'album è un bel regalo per i fan dei Verdena, abituati male, dato che spesso devono attendere diversi anni tra un album e l'altro. Ma in questo caso, per i veri amanti ci sono delle chicche importati, oltre i primi tre brani di WOW eseguiti dal vivo "Rossella Roll Over", "Le Scarpe Volanti" e "È solo lunedi", registrati presso l'Alcatraz di Milano il 19 febbraio da Davide Parrucchini, si hanno anche quattro inediti, "Segale Cornuta", un brano sperimentale di Luca al Synth, registrato nel 2010, poi "Inutilniente" di Alberto, un brano rimasto fuori da WOW, poi "Baby i Love You" un brano di Alberto e Luca, addirittura del 1993, in cui Alberto canta in inglese e nonostante la giovane età la grinta già si faceva sentire. Un brano davvero inaspettato, edito da Jestrai Records.
Il disco è arricchito da due demo "Optical" e "A Capello" entrambi registrati durante le sessioni di prova per WOW, nel 2009 nella loro sala prove Henhouse Studio. I due brani finali sono due versioni di "Razzi Arpia Inferno e Fiamme", una (Drum 2), con un ritmo di batteria diverso del singolo che li aveva rilanciati, e per ultimo il Remix del singolo da parte degli Aucan, una band molto promettente della nuova scena alternativa italiana.

I Verdena dopo tanti anni di sacrifici, sono riusciti a ritagliarsi una bella fetta di pubblico, che li segue con ammirazione e attenzione, i loro album sono dei veri capolavori, un esempio per le nuove generazioni che non sanno più che pesci prendere, perché inglobati in un mondo falso, pieno di ipocrisie. I Verdena ci insegnano che con dedizione e determinazione anche in Italia si può riuscire a fare del sano rock, riuscendo con disinvoltura a fare sould out tantissime date, riempiendo anche i pallazzetti. Quest'album lancerà il nuovo WOW tour, vedi il calendario estivo, che sarà sicuramente uno dei tour più importanti per la storia di quest'incredibile band.


Label: Universal/Black Out/Jestrai/XL La Repubblica
Voto: ◆◆

domenica 29 maggio 2011

Joseph Arthur - Graduation Cerimony (Recensione)

Ultimamente quando mi sono avvicinato alle nuove prove discografiche di alcuni miei miti, musicisti che amo, l’ho fatto con la speranza che avessero abbandonato le atmosfere dei loro più recenti progetti.
Ad esempio, come avete potuto leggere da queste parti, speravo che Ben Harper fosse tornato dalle parti di FIGHT FOR YOUR MIND oppure WELCOME TO THE CRUEL WORLD.
Invece, anche essendo un disco superiore alla norma, la sua ultima incisione (mi) aveva in parte deluso.
Mi sono avvicinato a GRADUATION CEREMONY abbastanza timoroso, devo dir la verità, dopo le ultime uscite di Joseph Arthur.
Ora il nostro, lasciati da soli i suoi (ex) compagni astronauti intorno a mondi meno consoni a lui, ritorna “da dove era venuto”, ricominciando ad “orbitare” intorno alla musica con la quale aveva iniziato.
Chi conosce Joseph sa della sua prolificità, della messe di opere date alle stampe dal 1996, dal suo primo EP CUT AND BLIND ad oggi.
La bellezza di 6 CD a suo nome, 2 con LONELY ASTRONAUTS, 1 a nome FISTFUL OF MERCY (con Ben Harper e Dhani Harrison) e 12 EPs oltre che vari promo.
Chi come me lo ama, dovrebbe possederli tutti o quasi.
Se volete iniziare, partite da BIG CITY SECRETS o, meglio, da COME TO WHERE I’M FROM per poi continuare con tutti gli altri (se posso suggerire “solo” un altro, allora fiondatevi su OUR SHADOWS WILL REMAIN).
Scusate la (dovuta) digressione ma mi è sembrata importante.
Ma veniamo a GRADUATION CEREMONY.
Joseph torna alle atmosfere dei suoi primi album e questo basta per definire le coordinate entro le quali si muove e basta per farlo amare incondizionatamente.
Joseph è uscito dal limbo dove era caduto in questi ultimi anni e ce ne fa partecipe con il primo brano, OUT OF THE LIMB, appunto:

Blowin’
Across the land
When you’re searching
For a friend
As I’m hanging
Out on a limb
In plain sight…


Un inizio che lascia emozionati, sembra di esser tornati indietro di una 15ina di anni.
Puro Arthur’s sound.
LOVE NEVER ASK YOU TO LIE, un titolo, una verità inconfutabile:

…At the graduation ceremony
Setting our sights free
There is never gonna be another me and you
Heard you cry
Love never ask you to lie
Take off your evil disguise
I could see you clear thru your eyes…

chiude il disco in maniera splendida.
Ma nel mezzo c’è la voce in falsetto, che tanto (ci) piace, di HORSES che si apre con un arpeggio di chitarra simile a HONEY AND THE MOON.
Di nuovo voce in falsetto nella splendida WATCH OUR SHADOWS RUN, che unisce idealmente COME WHERE I’M FROM and OUR SHADOWS WILL REMAIN:

…Here comes the sun
Watch our shadows run
It’s a war
No one ever won…


E se in COME WHERE I’M FROM la si dipingeva “nel sole” qui si va anche oltre con la “solare” ballata OVER THE SUN, inseguendola, appunto, “oltre il sole”:

…The sun will fade away
The sun will fade away
I’ll run to you every day
Over the sun…


Si fa un torto a non menzionarle tutte ma FACE IN THE CROWD e, soprattutto, CALL giustificano l’amore che nutriamo per Joseph:

...I’ve been your friend
And I need you now
Just like you needed me then
And I came thru somehow...


Lo sappiamo, Joseph, che sei (stato) nostro amico e noi ci saremo sempre… E’ bello ritrovarti di nuovo, così in forma…
(WEL)COME TO WHERE YOU’RE FROM…

Label: Fargo Records
Voto:
◆◆

sabato 28 maggio 2011

Stella Diana - Gemini (Recensione)

Dopo otto anni di attività e l'ottima uscita in casa Seahorse con “Supporto Colore”, tornano i partenopei Stella Diana e lo fanno alla grande. Con Gemini si confermano definitivamente come una delle realtà in ascesa più interessanti del panorama nostrano. Finalmente un gruppo che non ha paura di spingere forte sui pedali. Senza ombra di dubbio la miglior band shoegaze italiana. Chitarrone iperdistorte alla My Bloody Valentine, sorrette da ritmiche e impronte new wave che si coniugano alla miglior tradizione italiana, con il timbro vocale del cantante Dario Torre molto vicino a quello di Giovanni Lindo Ferretti. Gemini approda in Italia dopo essere uscito per l'etichetta spagnola Siete Señoritas Gritando. Una piena maturità artistica a cui i quattro napoletani giungono dopo lunghi tour in Italia e all'estero. Una band molto apprezzata in Spagna, cosa molto rara e da non sottovalutare per un gruppo che canta in italiano. Le nove tracce di Gemini sono un viaggio sonico, senza un momento di decadimento, coinvolgente sin dal primo ascolto e che porta, in modo inesorabile, a premere ripetutamente il tasto play. I richiami sono quelli alla miglior tradizione di fine anni '80, quando lo shoegaze non ancora veniva contaminato dalla sperimentazione, dal post-rock, mantenendo sempre una componente melodica di trasporto immediato. E' un inizio al cardiopalma quello di “Shohet” (il sacrificatore che, secondo i riti della religione ebraica, ha il compito di uccidere gli animali secondo i canoni rituali) diretto, d'impatto che ti giunge dritto in faccia, con muri di distorsioni, ora fragorosi ora liquidi che ti assorbono come una nebulosa, a creare una trama di suoni intensi. “Gli Eterni” è il primo video realizzato dalla band. Un brano magnetico con ritmiche potenti.

La successiva “Mira” parte con un basso roboante. Ad aleggiare un mood oscuro degno delle migliori atmosfere new wave, con intermezzi vicini agli americani Interpol. Ma è sull'esplosione maestosa del finale che veniamo travolti, con la testa che si scuote a tempo, le parole marchiate a fuoco nella mente “Sai che vorrei chiarire un'istante/non so più quanto tempo basti ancora per me/ogni risposta sembra avere uno spazio per sè...” La cura testuale degli Stella Diana è un altro elemento di grande importanza e a cui porre attenzione. Liriche mai banali che narrano principalmente d'amore (eh già) ma non solo, con un linguaggio poetico ma sempre molto vicino a noi, privo di pretestuose terminologie, sempre aperto e sincero. Un modo di spingere le parole, dando loro una certa enfasi particolare molto simile alla tecnica di Cristiano Godano, che si fa sempre servo della costruzione melodica della traccia. In “Kingdom Hospital” sembra quasi di udire una versione dei CCCP, attuale e rivista in funzione del proprio stile di estimatori di pedaliere. Uno dei brani nei quali emerge maggiormente la wave e venato da un senso di schizofrenia di fondo. “Non è divertente notare che saremmo migliori in ogni contesa/inerme la gente si sforza di limitarsi a dovere mentre decide...” L'evocativa e rilassata “Caulfield” nel ritornello ricorda vagamente gli Intercity, una delle tante band sottovalutate e misconosciute del nostro panorama. “Paul Breitnar” (che a qualche fissato del calcio anni '70 ricorderà qualcosa) col suo pop-rock cerca di velare le tensioni sonore e le onnipresenti distorsioni sempre sul limite del Larsen e che zampillano fuori come scintille da un cavo reciso, mentre delle ottime linee di basso assorbono e fanno da architettura al tutto. L'apertura e il ritmo spezzato di “Ra” ricorda molto i Kings of Leon di Because of the Times e gode di uno dei testi più belli dell'album (“ In ogni luogo il tuo bisogno mi divora/è strano a dirsi ma non ti consola il vuoto/ti conviene servirmi in questo mio sfogo da preda/seguo l'istante di ogni intenzione guardo il tuo volto bianco di pena...”) e col suo intermezzo e crescendo strumentale si afferma come uno dei momenti più memorabili e coinvolgenti assieme a “Mira”. “Happy Song” è a conferma del titolo la traccia più pop e orecchiabile. In chiusura in “Bill Carson” (il nome sulla tomba vuota de Il buono, il brutto e il cattivo) si scivola verso sonorità liquide e riflessive, mostrando il talento della band nell'allentare la tensione e cimentarsi col dream pop. Gli Stella Diana sono uno di quei gruppi che a coloro a cui piacciono le manopole delle pedaliere girate tutte sulla destra, riserveranno veri momenti di gioia ed emozione. Gemini è un disco che mostra una band dall'impeccabile capacità tecnica messa al servizio di un genere tanto bello quanto difficile. Gli Stella Diana pur assemblando nella loro personalità, mai così emergente e rappresentativa, sonorità passate e presenti, portano una ventata di freschezza ad un genere ed appaiono come la visione di un oasi al viaggiatore perso in un arido deserto nel quale si guarda sempre più avanti e meno ai propri piedi. Un disco e un gruppo, gli Stella Diana, per tutte le età, apprezzabile sia dal ragazzino che dall'adulto in cerca di cose ricercate e di qualità, perchè in fondo come dicono anche loro “E' la tua voglia che onora la tua età”

Label: Happy/Mopy Records

Voto: ◆◆◆◆◆

Flogging Molly - Speed of Darkness (Recensione)

Una settimana esatta fa sono tornata a casa per una manciata di giorni, la stessa casa di ' The heart of the Sea' e ' So sail on', due brani del quinto album del gruppo statunitense Floggin Molly. La casa di cui parlo è quella introdotta dal violino di Bridget Regan e dalle chitarre acustiche che sanno di trifogli che, però, spesso nel corso di questo cd vengono stregate da potenti bassi, come in 'Saints & Sinners', fin troppo western, o da inaspettate trombe come in 'Revolution'. Questo brano è un pò lo stendardo della vocazione dell 'intero album, quella di denunciare una crisi, ormai dilagata nel paese a stelle e strisce, allo stesso modo dell'evocatrice 'Power's Out', che sottolineano come l'aver registrato nella citta di Detroit, non è stata di certo una coincidenza. La certezza di una matura capacità strumentale ed artistica della band viene suggellata dalla stessa canzone che da il nome al cd 'Speed of Darkness' con una perfetta chitarra rock che raccorda il presente al loro passato. E', quindi, la commistione di stili a dare il marchio distintivo al disco: si inizia rock si sfocia al prog, si finisce quasi dai Joy Division se non fosse che, la strada verso casa è una sola, non è ancora asfaltata e passa attraverso terre verdissime.
Degni rivali dei Dropkick Murphys, la virata verso un genere più rockeggiante, come poteva essere considerato quello di qualche annetto fa, rispetto al punk li rende ancora più preziosi e gradevoli da ascoltare. Lo dimostra la ballata ' This Present state of Grace' grazie alla chitarra ritmata che fa ballare e ricordare tutti i luoghi di casa, come se fosse qualcosa di passato, e la casa di cui parlo, ovviamente, è l'Irlanda.

Label: Borstal Beat Records
Voto: ◆◆

Spread Your Legs - Hooray (Recensione)

Ascoltare un nuovo album non è un'operazione semplice e scontata, richiede al contrario più sforzo di quanto realmente possa sembrare; si tende ad assumere un atteggiamento quasi diffidente, vuoi un po' per paura di rimanerci delusi, un po' perché spesso si preferisce un lavoro il cui ascolto è già consolidato da tempo. Quando però si riesce a superare questo momento, cioè quando finalmente si è pronti all'ascolto, sostanzialmente ci si trova immersi in stati d'animo che possono essere completamente gli uni opposti agli altri. ''Odi et Amo'' avrebbe detto Catullo.

Certo è vero che delle volte si ha come la sensazione di non poter mai arrivare a conoscerlo abbastanza. Si diffondono emozioni istantanee molte volte sbagliate. Ci sono album per i quali non basta nemmeno una vita, altri che ti deludono non appena inseriti nel lettore cd e altri che al contrario ti prendono sin da subito e che prepotentemente ti obbligano a cliccare nuovamente il tasto play. Quest'ultimo è il caso di ''Hooray'', nuovo lavoro dei salentini Spread Your Legs. I ragazzi sono riusciti a staccarsi da un sound tipicamente nostrano per esplorare posti d'avanguardia, guardando con ammirazione all'Inghilterra e alla sua dimensione musicale(So far, so good). Non si può non subire la fascinazione di dieci pezzi animati da infestazioni ritmiche sincopate, bei groove e toni new wave a tratti psichedelici accompagnati da chitarre a effetto profusione. Il risultato è un disco dinamico, solare, perché no accattivante come se ne sentono raramente. Un album rigoglioso dal punto di vista compositivo e melodico, prodotto per Lobello Record, ''Hooray'' è un lavoro che non delude le aspettative di chi ormai lo stava aspettando da tanto. Una grandiosa linea melodica regge l'album, che eseguito live, dà grandi soddisfazioni. Un viaggio tra i meandri del suono che giunge a compimento mediante il fantastico intreccio dei groove di batteria e delle melodie delle chitarre. Gli Spread Your Legs non sono altro che la dimostrazione che la musica italiana (pugliese, qui per l'esattezza) continua a produrre e ad evolversi. Un crescendo di energia inarrestabile che inesorabilmente ti coinvolge in un innesto fortuito di emozioni sonore, quasi a renderti parte del progetto stesso. C'è talento e c'è soprattutto tanta voglia di divertirsi facendo musica. Un ottimo ritorno per una band che può inserirsi a pieno titolo nello scenario musicale italiano. Sgranchite le gambe e preparatevi a saltellare! Hooray guys!

Label: Lobello records
Voto: ◆◆

giovedì 26 maggio 2011

Manetti! - S.t. (Recensione)

Manetti!: da notare il punto esclamativo alla fine che pare ci tengano, anche perchè potrebbe esprimere appieno come vi sentirete dopo aver ascoltato questo disco.

I Manetti! vengono dal lago di Como ed appaiono come un enorme recipiente di idee e stili riversati in modo spontaneo e fulminante in musica. Dopo l'esordio per Subcasotto del 2007, otto tracce per lo più strumentali che si stanziavano sull'ormai inflazionato filone del post-rock, decidono di svoltare e fare le cose per bene. Per questo vengono notati da Barnaba Ponchielli che li adotta nella sua Sangue Disken. Il risultato sono questi undici brani, frutto di passioni e ascolti maturati dalla band nella loro crescita, che ha portato i tre lombardi, Andrea (voce-chitarra) , Simon Pietro (chitarra) e Claudio (batteria), a trovare definitivamente la propria strada e il loro personale approccio alla musica. I Manetti! compiono la grande impresa di riuscire a riversare nei loro brani tutte quelle sonorità degli anni passati (sopratutto i nineties), spesso citandole anche nei titoli dei brani o nei testi, riuscendo a farle proprie, reinventandole in modo particolareggiato e distintivo. L'idea che danno i Manetti! è quella di tre ragazzi che prendono gli strumenti in mano e senza pensarci neanche un minuto si danno ad una jam forsennata, le canzoni già in testa e nasce il disco. Non che questa idea sia sinonimo di scarsa qualità o poca ricercatezza, anzi è fonte di plauso e pregio della band l'apparire sempre spontanea e totalmente sincera nel proporci la loro musica. Il basso nel disco è suonato da Enrico Molteni dei T.A.R.M. che nel primo disco neanche lo avevano il basso. I Manetti! dicono che questa loro prova è dettata dall'esigenza di descrivere l'esistenza del singolo annoiato di qualsiasi città, come fosse protagonista di un film irripetibile e unico chiamato vita. Chiaramente non lo dicono in modo così smielato, però sento di condividere pienamente questo concetto. C'è un forte contrasto tra l'allegria e la voglia di divertirsi dei Manetti! e le sensazioni notturne, sempre velate d'amarezza e oscurità, dell'intero disco. Non so se sia romanticismo, emotività o altro ma sicuramente siamo davanti ad una band con una forte componente empatica che personalmente merita e ha tutte le carte in regola per far parlare molto di sé in futuro. Mi ero scordato di dire che in questo disco i Manetti! cantano e lo fanno in inglese. La prima canzone si chiama come il famoso romanzo di Irvine Welsh da cui è stato tratto il film di Danny Boyle. “Trainspotting” apre in modo malinconico ma energico l'album. Punto di forza le texture armoniche delle chitarre dissonanti e un ritornello micidialmente efficace. Segue il singolo, fin dal titolo permeato da quel citazionismo pop del quale parlavo precedentemente, “You and I and The Screaming Trees”. Un brano morbido, emotivo, che mostra un lato delicato della band, suscitando sensazioni da collage rock. “Rock'n Roll Nite” è un' altra canzone azzeccatissima che già dal primo ascolto prende stanza nella nostra testa e si pone come una via di mezzo di certo alternative rock americano di fine anni '80 e i Cure di Robert Smith. Con “A.M. Summer Trio” sembra di incamminarsi per strade buie, in notti senza luna, le quali uniche luci appaiono quelle dei lampioni che contornano la via. Un andamento cantilenante e sonnabolico che affoga sul finale in rumorismi e voci spettrali. “Surfers” è la prima traccia strumentale di questo disco, caratterizzata da chitarre sbilenche e arpeggi alla Slint. Segue “Hey! Henry Winkler” un tappeto new wave sui quali si dispongono composti e ripetitivi i soliti arpeggi e un cantato mantrico. “John Play Special” è la seconda traccia strumentale, una marcia incorniciata da chitarre mariachi e un'ottima sezione ritmica a fare da perfetto collante. Nel primo disco vi era una bellissima canzone. Si chiamava “Giardini”. E ora la ritroviamo con il nome di “Giardini is Back”. Probabilmente il momento più alto, per quanto riguarda la sfera emozionale, dell'intero album. Una traccia slow core che lascia trapelare a più riprese attimi di silenzio catartico, in quella che è una ballad greve ed intensa che mira fin dall'inizio alla crescita strumentale, nello giungere ad un esplosione annunciata e mai avvenuta che ci lascia soli in compagnia di noi stessi. “Grunge is Dead” è sicuramente la più straniante, giocata su sensazioni e sonorità contrastanti. Dal funky al noise passando per echi e vortici chitarristici e un ottimo basso distorto che ben ne delinea le dinamiche. “Dark!” tiene testa alle aspettative del titolo ed è la traccia più ferale e buia dell'album. Un inno alla notte “tonight...tonight” come dicevano anche gli Smashing Pumpkins ma qui siamo in vena d' ispirazione post rock seppur catalogare i Manetti! porta sempre un enorme sforzo più per la limitazione che si va ad imporre che per l'ardire. Chiude “Loopstation”, anch'essa strumentale e giocata sulla reiterazione di un unico riff di chitarra, appunto, in loop.

I Manetti! non hanno la pretesa di portare alcuna rivoluzione sostanziale. Suonano per sé stessi e hanno le canzoni, quelle con la “C” maiuscola. Un disco di undici brani che ti scivola addosso, restandoti contemporaneamente attaccato, è una cosa ben rara e difficile da realizzare. Manetti! è una delle cose più belle e interessanti ascoltate ultimamente, riassunto di musicalità “giuste”, di cui è difficile non andar matti. Una passione smisurata, istintiva e carnale che rende questo (ri)esordio qualcosa di davvero notevole e che spero possa incontrare l'appoggio e il piacere di un vasto pubblico.

Label: Sangue Disken

Voto:◆◆◆◆◆

Leggi l'intervista ai Manetti! qui

mercoledì 25 maggio 2011

Panda Kid - Panda Kid meet No Monster Club (Recensione)

Onde da surfare, vecchie Cadillac, ancor più vecchie Fender Mustang.. tutto questo balena nella mia mente mentre ascolto quanto esce dalla cameretta di Panda Kid per andare a finire nel mio stereo sotto forma di split-album, tra appunto il nostro italianissimo Panda Kid, e gli irlandesi No Monster Club. Panda Kid è una delle tante e classiche next-big-thing indie-rock del panorama italico, e non, tanto care alla stampa specializzata, che ogni giorno ci vengono proposte e gettate davanti. Finalmente però ci troviamo davanti a qualcosa di molto interessante. Il ragazzo ha la stoffa. Questo split mi rimanda alla mente l'epoca dell'autoproduzione DIY, caratterizzata da suoni di merda figli delle registrazioni economiche o fatte in cameretta, ma carice di passione, significato e perchè no.. talento. A far compagnia al già descritto Panda troviamo poi gli ottimi No monster club, band irlandese con all'attivo già 3 album, capitanata dal carismatico Bobby Aherne, che sta spopolando in patria e che arriva in Italia in tour per promuovere questo nuovo lavoro. Allo stesso modo Panda Kid dopo il primo lavoro, uscito per i ragazzi della MiaCameretta Records, prova con questo split a cercare fortuna anche nelle terre straniere. Il genere è sempre lo stesso per entrambe le 'formazioni', un surf rock sporcato da un po' di noise, il tutto condito da una sana attitudine punk.. Thurston Moore e Dee Dee Ramone a braccetto con uno strafattissimo Brian Wilson. Batterie minimali degne del buon spazzacamino di Mary Poppins alle prese con l'elemosina, chitarrine dritte condite dalle modulazioni classiche del genere, chorus, flanger, ed un bel po' di riverbero, che la fa da padrone anche sulle voci, scazzate e stonate, che sovrastano gli arrangiamenti caciaroni e in bassa fedeltà ( ma attenzione non per questo non curati) che ci fanno amare con tanta felicità questo dischetto e attendere con ansia il primo full-lenght di Panda Kind in uscita in Agosto.

Label: MiaCameretta/Youth Tramp

Voto: ◆◆





Atome Primitif - Three Years Three Days (Recensione)

"Tre anni trovano la loro sintesi in tre giorni" Queste le parole della cantante Azzurra Giorgi per descrivere, a partire dal titolo, l'ottima prova dei suoi Atome Primitif. Siamo dalle parti di Bristol, mecca del trip-hop, ma non vi ci soffermiamo fin troppo, continuando il nostro viaggio nell'incontro e assorbimento di svariate ed eleganti sonorità. Una band, i romani Atome Primitif, immersa senza tanti giri di parole, negli intricati grovigli di certo alternative rock ma con un giusto e lampante debito all'elettronica (non a caso nel 2009 furono chiamati ad aprire agli islandesi Mum). Ciò che ne esce fuori è un album molto interessante, godibile appieno dalla prima all'ultima traccia e con un cantato dalla finalmente ottima pronuncia inglese. Dopo la scarica iniziale di "Indù" e il prosieguo elettrico di "Air", le atmosfere si fanno più intime e sensuali con la lenta e, a tratti eterea, "January the 7th". Segue la più leggera e melodica "Silver House" coperta a più riprese da sensazioni notturne e oscure. E' sempre la voce di Azzurra, sorretta dai compagni Giacomo Ferrera (basso), Claudio Cicchetti (batteria), Clelia Patrono (chitarra), a emergere e fare da guida, anche nei momenti nei quali la luce si affievolisce e al suo posto cala una fredda e alienante oscurità. Degna di nota è la bjorkiana "Machine" uno dei momenti più alti ed energici. Il fascinoso ed emozionante singolo, "Tuna Drama" narra della storia tragicomica di un tonno che finisce ad essere condimento per un piatto di spaghetti. Sensazioni da fiaba nera che confermano la traccia come una delle più azzeccate e intriganti degli Atome Primitif. "Walking" ci si avvinghia addosso trascinandoci in vorticanti abissi shoegaze. Quando si arriva a "Concert in My Head" la sensazione che si ha è quella già suggestionata dal titolo della traccia: rinchiusi a nostra insaputa in un anticamera onirica caratterizzata da morfinosi andamenti e stilizzati condimenti elettronici. In chiusura "Amore & Psiche" è una discesa verso il fondo per poi risalire. Inizialmente minimale ed emotiva, si evolve in modo estroverso a traccia rock nelle distorsioni marcate pesantemente sopratutto sul finale.
"Three Years Three Days" ha l'unico limite di suscitare nell'ascoltatore un certo effetto Déjà vu, per la non totale freschezza musicale di alcuni brani presentati. Per il resto le canzoni ci sono e anche il piacere nell'ascoltarle. Noi ne prendiamo atto con un orecchio teso e una certa curiosità per il futuro a venire degli Atome Primitif, ai quali auguriamo di continuare a sfornare ottime prove cercando di trovare una loro personalità, unica e caratterizzante.

Label: Urban49

Voto:◆◆

martedì 24 maggio 2011

The prodigy - World's on fire (Recensione)


E' uscito fuori un po a sorpresa, senza troppi preavvisi, e non è una cosa particolarmente avvezza ai tre dell'Essex, i Prodigy, da non confondere con l'hip hop dei Prodigy of Mobb Deep, che ormai si sa, si specifica sempre, ma lo sanno tutti. Questo è il primo disco live della band e fotografa benissimo la situazione attuale dell'mc Maxim Reality, il tuttofare Liam Howlett e le vocals di mr Keith Flint, forse il personaggio più noto ma il meno interessante dei tre. Ogni nuova uscita porta sempre qualcosa di nuovo nel sound del collettivo ed effettivamente questo disco mi ha un po spiazzato da questo punto di vista...mi è sembrato di ascoltare una collezione di pezzi sentiti milioni di volte (in quanto specifico che sono il mio gruppo preferito, ma cercherò di non essere troppo di parte), alcuni dei quali sono stati rivisitati live in versione maggiormente rock 'n roll oriented. Ora, si tratta di un live album registrato abbastanza bene durante il World's on fire world tour e presenta 17 pezzi che sono un po pochini, ma di fatto sono quelli maggiormente proposti dalla band oggi. L'unico difetto che ho sempre trovato non solo nelle produzioni di questo tipo ma nei Prodigy in particolar modo è che dal momento in cui si sono maggiormente avvicinati ad una etica stilistico-compositiva al rock, cioè sin da Their law, ma in modo particolare da TFOTL (acronimo di The fat of the land) hanno iniziato, e questo secondo il mio gusto costituisce un piccolo sbaglio, a reinventare le loro vecchie tracce di stampo early rave in chiave rock, alle volte riuscendoci maggiormente, ma spesso andando a snaturare la bellezza del pezzo originale, rendendo talvolta i pezzi delle sorte di remix on stage discutibili. La cosa si può trovare anche in questa sede, ed appunto non si tratta di una novità. I Prodigy fanno parte di quei gruppi che, al contrario di coloro i quali eseguono i pezzi così come sono su disco, li modificano sempre e non in modo velato. Questo costituisce un punto di forza e allo stesso tempo un punto di debolezza, che comunque esiste, specifico, solo su live. La loro grandezza è sempre stata quella di riuscire a realizzare sempre e comunque prodotti innovativi, che non sono mai stati la successione dei precedenti, ma qualcosa di completamente nuovo, salvo però, on stage, modificare i precedenti lavori secondo le attuali cifre stilistiche applicate. Premettendo che questa è in fondo una compilation, possiamo trovare il lato pratico di questo discorso in particolar modo in quei pezzi che o appartengono al periodo Experience - MFTJG (Music for the jilted generation), oppure che pur attuali hanno delle sonorità maggiormente tendenti alla old school, mentre i pezzi che hanno una attitudine più rock vengono ulteriormente valorizzati dall'utilizzo di una strumentazione sempre più orientata in quella direzione. Alcuni chiari esempi del primo tipo sono per il passato "Weather experience", "Out of space" e "Voodoo people", così come anche "Thunder" e "Colours" (i casi più emblematici di pezzi recenti nati early e resi rock), al contrario i classicissimi "Smack...", "Breathe", "Invaders must die", "Firestarter", "Their law" etc... esprimono la nostra seconda categorizzazione. E' inutile dire che mancano tantissimi classici che oramai non sono più fortemente valorizzati dalla band, ma mancano, e questo è un gusto personale, stranamente dei grandissimi pezzi tratti dall'ottimo AONO (Always outnumbered, never outgunned) che però alla band dell'Essex non sembra proprio piacere live, sarà perchè all'epoca lo fece unicamente Liam, non per essere suonato live ma per sperimentare. Mancano inoltre decine di altri pezzi clamorosi che, e questa è una colpa, sarebbero potuti essere inseriti in un doppio cd. Non faccio particolari nomi, ma basta conoscere abbastanza bene la discografia dei nostri per rendersene conto. Un disco da avere per i collezionisti dei Prodigy, ma che al neofita potrà interessare molto meno rispetto agli originali o a quella raccolta di qualche anno fa, "Their law", che ancora oggi considero la più completa sotto tutti i punti di vista. Comunque, da avere nella propria Prodigy-collection.

Label : Take me to the hospital

Voto: ◆◆◆◆◆

Nico Greco & His Band - Blue Like Santa Cruz (recensione)

Mi scuserà il mio amico Nico se trovo solo ora il tempo per scrivere 2 righe sul suo recente secondo album.
Scrivere dell’opera di un amico non è semplice.
Si potrebbe essere troppo indulgenti proprio per quel che unisce, oppure, al contrario, troppo severi nei suoi confronti, perché, pensiamo, con un amico ce lo possiamo permettere.
Conosco da anni Nico e condividiamo la passione per molti nomi del panorama musicale, soprattutto americano e, all’ascolto di questo BLUE LIKE SANTA CRUZ, vi renderete conto di chi siano.
Un disco che può essere un perfetto compagno di viaggi sulle highways o le interstates ma anche sulle nostre (più modeste) autostrade e statali.
Si parte da MY WILL TO LIVE, brano di cui è stato realizzato anche il video per la promozione dell’album e si finisce, 11 canzoni dopo, con RED RIVER, il mio pezzo preferito dell’intera opera ed anche il più personale.


Nel mezzo un compendio dell’american music che si rifà alla tradizione e che parte dai cantautori, passando per il country-rock, arrivando al Paisley Underground, coniugando His Bobness con Neil Young, arrivando a Steve Wynn, accompagnato dal suo Sindacato del Sogno oppure i Green On Red.
Nel suo disco, Nico pensa a chi ha vicino, chi lo ha sempre sostenuto in questa sua avventura musicale.
MY MOTHER, ad esempio, dolce e scarna malinconia acustica, oppure SHE, una cavalcata elettrica che, posso pensare sia dedicata a Kris e SING WITH ME, la più smaccatamente country dell’intera raccolta, per il piccolo Vincenzo.
Siamo dalle parti della “torre di guardia” (quella dylaniana non quella dei testimoni di Geova…) all’attacco di A PART OF HAPPINESS, TWO PARTS OF WHISKEY e in NO BORDER.
OLD TIME MUSIC sembra una ballad uscita dalla penna di Robbie Robertson.
Insomma, una vera antologia dove ognuno potrà trovare i propri riferimenti musicali.
Dopo l’esordio acerbo del 1° CD, Nico affina lo stile in questo bel BLUE LIKE SANTA CRUZ.
Complimenti Nico ma ora ti aspettiamo al varco del terzo capitolo della tua storia musicale che, come per tradizione, è quello più difficile e nel quale dovrai, a mio parere, focalizzare meglio la tua strada artistica, rendendola più personale, prendendo l’abbrivio, magari, proprio da RED RIVER.

Label: Red Birds/Seahorse
Voto: ◆◆

lunedì 23 maggio 2011

Arctic Monkeys - Suck It and See (Recensione)

Matt Helders : "Suck it and see" è "più pop" rispetto ad "Humbug". Così rilasciò Matt Helders batterista degli Arctic Monkeys scaturendo le mie più recondite fantasie a riguardo. Se “Humbug” fu' la prova di maturità di una delle band più sconvolgenti del panorama british indie/rock, "Suck it and see" va ad accodarsi a le molteplici delusioni di questi ultimi tempi, vedi : Noah And The Whale - Last Night On Earth (2011), The Pains of Being Pure at Heart - Belong (2011), Hey Rosetta! - Seeds (2011) e per non scatenare una guerra è meglio fermarsi qui. Una delusione intuita dalla prova “Solista” del leader Alex Turner con “Submarine” (colonna sonora del film “Submarine”), sicuramente un'ottima prova di variazione artistica e inventività, ma ebbi il timore che si lasciasse attrarre dal nuovo sound (melodico) e così facendo trasmetterlo in futuro ulteriormente negli Arcitc Monkeys . I miei timori erano fondati! "Suck it and see" è un album vuoto e senz'anima , il classico album a scopo di lucro, danneggiando un nome fin'ora intoccabile.

L'album è composto da dodici tracce, ed apre con l'arpeggio di “She's Thunderstorms” (non pensateci, “Brainstorm” è solo un lontano ricordo) ma nonostante ciò, il brano è uno dei pochi in grado di arrivare alla sufficienza, ma rende subito chiara la strada noiosa e poco energica dell'album. Il singolo e video “Brick By Brick” sembra un misto tra gli avanzi dei “Franz Ferdinand” e quelli dei “Death Cab For Cutie”, restando in tema di scarti “Don't Sit Down 'Cause I've Moved Your Chair” sembra venire dal cestino della spazzatura del fantastico "Humbug". Bisogna attendere metà album per gli unici due brani davvero Arctic Monkeys, “Library Pictures” e “All My Own Stunts” dove la batteria di Matt Helders domina e rimette tutti in riga. “Forse la prima metà dell'album è una sorta di scherzetto non divertente, e da ora in poi tornano ad essere i veri Arctic? Pensai tra me e me!” Invece fu' una pura e spietata illusione, servita solo per alimentare la mia delusione verso un album contenente 6 minuti scarsi di buona musica.

La batteria sovrastante, presuntuosa ed arrogante a cui eravamo abituati muore in questo album, e viene sostituita da una semplice e noiosa porta tempo in pensione. Non si hanno più tracce della voce di Alex dispersa negli abissi soffocati di “Submarine”.

Due fiamme incendiarie ridotte ora in fiammiferi troppo deboli per una sigaretta.


Label: Domino
Voto:

sabato 21 maggio 2011

Luminal - Io Non Credo (Recensione)

Io Non Credo, secondo album dei capitolini Luminal, esce nei giorni dell'anniversario dei 150 anni dell'unità d'Italia. Fin dall'artwork di Marco Filippetti a ritrarre in copertina Garibaldi, simbolo del risorgimento, impresso su giacche nere come un'ombra di un tempo passato, è ben chiara la sensazione di trovarsi dinanzi ad un concept di indubbia attualità e importanza. Io Non Credo è un album dedicato a tutti noi, alla disgregazione di certi ideali, fondamenta della nostra società. La patria costruita sui corpi e le anime dei nostri padri, come fulcro centrale dell'amore e dell'unione, per questo andando contro tutto e tutti, senza peli sulla lingua, i Luminal ci esortano ad alzare la testa e svilire il senso di abbandono e di sconfitta dei nostri giorni in favore di una "rivoluzione", di un ritorno a certi ideali di uguaglianza e democrazia che sempre più vanno sciamando nel nostro paese. Nove tracce, nove colpi al cuore che attraversano coscienze, penetrano a fondo e smuovono cercando di svegliare da un'acquiescenza durata fin troppo. Stufi di compromessi, di dover scegliere tra mediocrità servite su piatti diversi ma provenienti da un unico scialbo costrutto d' interesse personale, Io Non Credo è un'opera di smascheramento nel vero senso della parola, un percorso guidato che ben illustra la situazione attuale dell'individuo libero pensatore italiano. Pur mantenendo intatta la propria personalità nel convogliare vena new wave, post-punk e cantautorato di pura matrice italica nell' alternarsi di voci maschili e femminili, in questa nuova prova Carlo Martinelli e Alessandra Perna, a differenza del primo "Canzoni di Tattica e Disciplina", puntano più verso musicalità e sensazioni dirette, smussando certe sonorità rumorose in favore di melodie elaborate e originali che restano impresse istantaneamente a fuoco nella memoria. Non esagero dicendo che Io Non Credo è un album perfetto, di canzoni bellissime ed empatiche che tranquillamente potrebbero passare per nove singoli. Si parte con "Signore e Signori dell'Accusa" che apre il sipario allo stremo della ricerca di libertà nella difesa dei propri ideali, nella ricerca di una realtà rivoluzionaria utopistica ("Ho provato a liberarmi e la libertà mi ha riportato da me...La mia rivoluzione è più irreale di me"). Segue la title track, probabilmente la traccia più graffiante, arricchita dalla viola e il violino di Nicola Manzan, (Bologna Violenta, ex Teatro degli Orrori) dove alcune delle tematiche ricorrenti della storia della nostra società (spirito santo, padre e la madre, secessione...) sembrano appartenere ad una realtà ipocrita alla quale non possiamo continuare a dar fiducia. Per questo non crediamo più ("L'unica cosa che mi aspetto è sopravvivere al deserto..."). Il piano di Andrea "Fish" Pesce (Carmen Consoli, ex Tiromancino) decora le melodie impegnate di "Si può Vivere", alla quale segue "Non è ancora finita, Babyblue", dall' andamento movimentato, spezzato solo da un ritornello fortemente esortativo. I violini di Manzan si riaffiacciano in "Niente di Speciale", punta di diamante del disco. Ad aleggiare sul brano lo spettro di un Battisti cupo. Un cantato, quello di Carlo, straziato e allo stesso tempo lucido nello sfogare le proprie angosce, ad aprire la propria anima al dolore della sconfitta. ("Avrei dovuto capire che chi non ha voglia non vive ma avevo paura e non sogni..mi sento cadere cos'è che io ho? Ho voglia di bere cos'è che io ho?") Le chitarre di "Alle Gegen Alle" penetrano immediatamente nel nostro subconscio e a distanza di ore potrebbero continuare a girare in loop nella nostra mente. "L'Ultima Notte" è la traccia più ferale, degna dei Rossofuoco di Canali. A calare il sipario, la degna conclusione di "Tutti Gridano è Finita" che, nonostante il titolo lascia aperto uno spiraglio di luce, di speranza sul futuro a venire. ("Ho cambiato la preghiera ora è una maledizione...ma le ore sono interminabili, i nomi li abbiamo già scordati e la notte non è mai fredda") C'è ben poco da aggiungere. Io Non Credo è sicuramente uno degli album più interessanti e meglio riusciti del 2011. Attuale, diretto come un schiaffo improvviso, emozionante ed intenso. E' arrivata l'ora di svegliarsi, di unirsi e riscattare la nostre identità, le nostre libertà, la nostra condizione di uomini pensanti e non pedine disistruite da ideali di plastica ai quali opporsi è sinonimo d'emarginazione. Cerchiamo di non lasciare solo ai Luminal il compito di ricordarci ciò che ci unisce, ciò che siamo come popolo. Quando rimangono solo gli artisti a parlare di certe cose, sicuramente la situazione non è delle più rosee...

"Qui si fa l'Italia o si muore !"

Label: Black Fading

Voto:◆◆◆◆◆

Lo Stato Sociale - Amore ai tempi dell'ikea (Recensione)


A chi non è mai capitato di avere in testa un motivetto o il refrain di una canzone per tutto il giorno?
Canticchiare senza rendersene nemmeno conto mentre nella mente il rapporto tra musica e realtà diventa sempre più distante fino a far sì che quest'ultima venga meno, lasciando il posto alla fantasia. Sì, un posto favoloso, immaginario in cui ciascun individuo può perdersi affogando in sensazioni, suggestioni e tutto ciò che di più bello c'è.
A me succede di continuo. E il ritornello che da giorni non riesco più a smettere di cantare è ' Io sono l'apatico, giro in tondo ma sono statico, la lucina dentro gli occhi è il riflesso di una scintilla che non scocca'' o ancora ''Sono pop, sono cool, sono come tu mi vuoi, sono un po' stanco di aspettarti e così, per un po' vado via ma ti lascio qui, il pilota automatico, amorematico, aromatico al caffè''.
Parliamo dello Stato Sociale e della dipendenza che crea una volta premuto il tasto play.
Il trio bolognese torna più carico che mai, con un secondo Ep ''Amore ai tempi dell'ikea'', che vanta la collaborazione di due nuovi artisti, la polistrumentista Laura Agnusdei e il violoncellista Luca Leonelli.
Ad aprire le danze la title track ''Amore ai tempi dell'ikea''. Un titolo esplicativo che racchiude il tema centrale della canzone. Ascoltandola, sorge spontaneo affermare che ''c'era una volta l'Amore ma poi hanno dovuto ammazzarlo''. Esatto, perché quella attuale è una società fin troppo disinteressata. Si ironizza sui rapporti amorosi, sulla loro non autenticità e sul fatto che l'amore, ormai a stento definibile "con la A maiuscola, diventi sempre più materiale e poco genuino.
Una ballad elettronica la cui carica ritmica ti entra nel sangue e da lì il passo al balletto è inevitabile.
Un modo diverso di esprimere i propri sentimenti si delinea nella successiva '' La stasi aveva un cuore''. Cosa succede se l'austerità e la professionalità di un agente Stasi vengono meno a causa di una donna? Lo spionaggio diventa l'unico modo per starle vicino. Lui ''si nasconde dietro gli angoli nei pensieri'' mentre lei inconsciamente continua verso la sua destinazione. Sono vicini, fisicamente e mentalmente, ma lei non lo sa. L'amore tende a configurarsi così come un'idea, un'idea skatronica.
Musica che ci ricorda le sonorità dei videogiochi anni 80. L'ep è una miscela di melodie pop ed elettronica soffice, animata da flusso continuo di eventi sonori, tra sferragliate di chitarra, melodie sintetiche e clangori punk.
La componente rap anima la successiva '' Brutale'' , un inno all'indipendenza e alla libertà di pensiero e azione. '' Fare del mio meglio non significa fare quello che volete voi, in tal caso farei del vostro meglio''. I testi sono diretti e raggiungono, senza troppi simbolismi e giri di parole, tutti gli ascoltatori. Un modo del tutto personale di fare sarcasmo divertendosi e facendo divertire.
In chiusura troviamo ''L'escapista'', secondo brano nella trilogia socialista insieme a ''L'apatico'' e ''Elastico'. ''L'escapista'' è una canzone che esprime la voglia di fuggire dal conformismo e dalla realtà per rifugiarsi altrove. Immaginare un mondo senza più lei, il sogno di quello che sarà, l'impressione del futuro imminente, creandosi ''una montatura per soccombere gli spasmi''. Una società che non ha più nulla da offrire e dalla quale vale la pena allontanare se stessi e gli altri.
Ma poter vivere distante da tutti è solo un'illusione e non una soluzione definitiva.
Ad accrescere il fascino e le seduzioni di questa musica contribuisce, oltre la cantabilità melodica, il tripudio innarrestabile di ritmiche coinvolgenti in cui affondano groove punk e intermezzi di synth-pop. Passerete quindici minuti di assoluta spensieratezza e giocosità tra testi e giochi sonori che non si fanno dimenticare facilmente. Una volta nel labirinto musicale dello Stato Sociale sarà veramente difficile venirne fuori. Io ho preferito restare e voi?

Label: Garrincha dischi
Voto:
◆◆◆◆◇

venerdì 20 maggio 2011

Danger Mouse & Daniele Luppi - Rome (Recensione)

È di pochi giorni fa l'uscita di Rome il nuovo disco di Danger Mouse prodotto e realizzato insieme a Daniele Luppi e risultato di cinque anni di lavoro. Alla realizzazione del disco hanno partecipato molti degli esecutori (superstiti) che suonavano gli spartiti di Morricone negli anni ’60 e ’70 (nella canzone Theme of Rome, ad esempio, si riconosce la voce di Edda Dell’Orso, il soprano della colonna sonora del Buono, il Brutto e il Cattivo).
Il disco è composto da quindici canzoni per poco più di trentacinque minuti di musica, fatto che già la dice lunga sulla lungimiranza di Danger Mouse, al secolo Brian Joseph Burton, uno che il circuito commerciale lo conosce e non poco (si vedano i successi alla produzione di Gnarls Barkley e Gorillaz). Non c'è traccia di intenti caricaturali, possibilità sventata grazie sopratutto all'apporto di Daniele Luppi: equilibrio è la parola d'ordine perfetta per questo lavoro, in bilico tra fascino per un modo di produrre musica antico e freschezza e riconoscibilità pop, con l'iniezione di voci del circuito mainstream, come quelle di Jack White & Nora Jones; per quest'ultima l'album ce la regala davvero a livelli altissimi, messi davanti alla possibilità di godere delle sue qualità vocali e interpretative senza la scusa dettata dall'odiosa pratica dello sminuisci il mainstream a tutti i costi. Lo stesso discorso vale anche per Jack White, che si fida lasciandosi guidare su spettri vocali a lui inusuali. C'è da dire che a un primo ascolto le due voci che si alternano nei vari brani dell'album sembrano avere qualcosa che non va. Proseguendo sei, dieci, quindici volte (vista la complessità e allo stesso tempo la piena fruibilità del disco) in giorni successivi si scopre altro: quella sensazione di straneamento iniziale acquista forma e senso; l'album e le voci e le atmosfere rivendicano uno spessore crescente, espandendosi nella testa nei momenti di non ascolto. I due performer compenetrano letteralmente la musica che in un lavoro del genere, visti gli ideatori/realizzatori, dovrebbe riservarsi il solo ruolo da protagonista; il tutto si fonde e l'amalgama ci restituisce qualcosa che riserva la sua bellezza nascosta dietro la nostra pigrizia, davanti al bisogno di cose belle e piene che abbiamo. La cura del creare esige un impegno che a volte può rivelarsi implacabile ma che nella sua altra faccia si rivela non come mero piacere ma piena soddisfazione. È questa la più genuina delle dimostrazioni di come una serie di canzoni, legate l'una all'altra da un chiaro intento si trasformino in qualcosa di più, qualcosa che scacciare dalla testa diventa davvero difficile. La sensazione è che l'album sia costruito si, ma non a tavolino, bensì come se il buon Danger Mouse giocasse a scacchi su più tavoli contemporaneamente: con i suoi collaboratori, con il tanto vituperato mercato e anche con noi ascoltatori, più o meno attenti. Quello che infine colpisce è la capacità di servirsi di ogni mezzo possibile per confezionare un risultato tanto meritevole: una capacità da artigiano di razza che non ci è dato riscontrare in altri interpreti del suo genere qui e ora.

Label: Capitol
Voto: ◆◆◆◆◇

E per finire gustatevi il video interattivo realizzato da Chris Milk in collaborazione con i Google Creative Labs qui.

Vinicio Capossela - Marinai, profeti e balene (Recensione)

Chi è veramente Vinicio Capossela lo si può leggere tranquillamente nel suo libro "In clandestinità", scritto insieme al suo caro amico Vincenzo Costantino Cinaski. Lì traspare il suo amore per la vita, e spesso quando lo sento parlare nelle interviste, mi viene da associarlo, non sò per quale motivo, alla figura di un frate, la sua pacatezza, la sua gioia di vivere, il suo temperamento ma soprattutto per la sua saggezza.
Appunto la sua saggezza in "Marinai, profeti e balene" ha raggiunto livelli elevatissimi, cosa che mi ha disarmato. Non ho trovato il coraggio di scrivere nulla fin'ora, perché non mi sono sentito all'altezza di poter descrivere un opera così completa e perfetta. A differenza dell'Ep "La nave sta arrivando", uscito pochi mesi prima di questo album, le uniche cose che mi sento di dire, nell'ascoltare per la prima volta questo concept album è che ho provato senzazioni quali: solitudine, estasi, chiarore, tepore, conforto, timore, smarrimento, tenerezza. Tutte cose che difficilmente si sentono tutte insieme. Capossela è riuscito a pubblicare un opera mastodontica, due dischi impegnativi. Per comprendere a pieno questo album c'è bisogno di una buona preparazione, per questo chi ama il Capossela de "Il Ballo di San Vito" rimarrà deluso, chi non conosce Capossela forse avrà grandi difficoltà, ma rimane che questo album consacra definitivamente Vinicio Capossela come uno degli artisti-compositori più importanti della musica italiana di sempre.
Come ho già detto per ascoltare "Marinai, profeti e Balene" ci vuole della preparazione, perché come in una buona opera teatrale, troviamo molte inspirazioni e riferimenti letterari come: "Moby Dick", "Scandalo negli abissi", "Billy in the darbies" e "Libro di Job". Per comprendere quest'opera e parlarne approfonditamente bisogna temporeggiare, ed io non mi sento di poter avanzare adesso delle considerazioni sui contenuti testuali, ma quello che posso dire è che mi ha destato tanta curiosità, quindi l'intento non facile di Capossela di partorire un opera così complessa ha portato i suoi frutti sin da subito, proprio in un momento dove non è facile vendere arte "profonda", ma Capossela con questa impresa titanica si dimostra un gran traghettatore, controcorrente; come fosse un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi.

Label: La Cupa/Warner
Voto: ◆◆◆◆◆+

mercoledì 18 maggio 2011

Playontape - A place to hide (Recensione)

Tra i gruppi impegnati nell'infinita epopea del revival post punk ci sentiamo di annoverare anche i Play On Tape. ''A place to hide'' è la traslazione sonora di un modo d'essere che si manifesta attraverso ossessive sequenze ritmiche, scandite dal rullante della batteria e da una vocalità autentica e di forte impatto. Prende forma una notevole partitura vintage ispirata ai primi 70' con guizzi di modernità che affonda dolcemente in una verbalità provocatoria e per nulla scontata. Un album che funge da catapulta in un lancio sonoro che permette all'ascoltatore di esplorare diverse ere temporali e di profilarsi in una prospettiva ben cara a gruppi come Joy Division, Interpol e The Cure. Un lavoro con un'identità ben definita, che spazia voluttuosamente tra la new wave e il post punk, animato da un continuum incessante di melodie che si propagano intensamente per tutto l'album. Testi provocatori si intrecciano con un sound vertiginoso dando vita ad una trama compatta e ipnotizzante. ''Let me feel it'' profuma di Editors / Interpol /Bravery ed altri derivati di Ian Curtis e compagni. L'energia a tratti devastante sfida chiunque a rimanere impassibile durante l'ascolto. ''Ghost train'' è un pezzo rock classico piuttosto potente (ed anche decisamente monocorde) che ricorda gli Interpol piu' rock,l'influenza della band newyorchese è ancor più evidente nella malinconica ''While Raining Down On Me''.L a ricercatezza nei suoni non pregiudica l'orecchiabilità di ''Running in the snow''. ''The soft fly'' e ''Kabuki syndrome'' presentano reminiscenze dei Cure, mischiate a sonorità proprie dei più volte citati Interpol ed Editors. I ragazzi si sono superati dando vita ad un progetto che brilla di luce propria. E' un trip che si colora di tinte psichedeliche sorretto da chitarre acide e un drumming pressante e impetuoso. Un progetto che conferma le qualità di questi ragazzi e che porta alla luce le sfaccettature del loro sound. Consigliato a tutti i fruitori del revival post/punk.

Label: La Rivolta Records
Voto: ◆◆◆◆◇


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