Voto: ◆◆◆◆◇
Sono passati diciott'anni da “Fljúgðu” (Volare), il singolo che trasformò i petali di Sigurrós (Rosa della Vittoria) in maestose ali, creando un nome ed una figura universale per chi esplora i meandri della psiche e contemporaneamente dello spazio, nella propria stanza. Quasi due decenni tra studi archeologici ed esperimenti chimici verso se stessi, una costante scoperta, una continua ricerca intima verso la formula matematica dell'orgasmo acustico.
È “Valtari” (Rullo Compressore) il titolo del sesto reperto rinvenuto dagli islandesi Sigur Rós, anticipati qualche mese prima dal doppio live album “Inni”. Come anticipato dalla band, l'album è molto più elettronico, da subito si nota un passo indietro, infatti riaffiorano in mente album come “Von” e sopratutto “( )”. Un'ulteriore segnale scoraggiante è il numero di tracce (otto) e la durata dell'album di circa un'oretta, un tantino misero dopo quattro anni di “stop”. Come in ogni album dei Sigur Rós va scovato il giusto luogo, stato d'animo ed orario (consiglio di lasciare sempre il volume al massimo, o non saranno percepibili le infinite sfumature meticolose presenti nell'album, vero punto di forza) per ascoltare il disco, altrimenti l'album apparirà piatto e soporifero. Il primo ascolto servirà per piangere l'assenza dell'inimitabile post-post-rock Sigurósiano, nel secondo ascolto (anticipato da un giorno di solo Mogwai per ristabilirci) l'orecchio si affilerà come una Katana e l'album prenderà tutt'altra piega, per alcuni, per i più post-rockiani e meno minimalisti/sperimentali il secondo ascolto forse non ci sarà. Per fortuna non vi è traccia d'inglese bensì “vonlenska” (speranzese) lingua creata da Jón Þór Birgisson (Jónsi), sopraffine come sempre la sua interpretazione canora, accompagnata questa volta da donne e bambini presenti fin dal primo “Ég anda” (Respiro), inizio ambient-afrodisiaco, inizia subito così un classico viaggio alla Sigur Rós in cui ti lasci cullare e massaggiare dal vento Ma! Veniamo dirottati da un finale inaspettato, quasi da film horror, che ci risveglia per l'arrivo del singolo “Ekki múkk” (letteralmente: Nessun Gabbiano, trattasi in realtà di una burla contro i giornalisti che chiedevano in continuazione il significato del titolo che sarebbe "not a sound"), un gran bel regalo per Inga Birgisdóttir sorella di Jónsi autrice del video. Si nota una tecnica di registrazione rispolverata dal giovane pianista Nils Frahm, già molti altri oltre i Sigur Rós hanno deciso di usufruirne. Ora “Varúð” (Attenzione) il pezzo migliore dell'album senza dubbio, completo e strutturalmente fantastico, una miscela drammaturgica, un alternarsi di cori e sciame di anime, vagano senza via per l'intera traccia. Sicuramente molto coraggiosa la scelta di pubblicare “Valtari”, un album dove lo strumento dominante è l'inverosimile voce di jónsi, tutto prosegue bene e lineare quasi un concept album, una sfida rischiosa, una scintilla e l'album cade, forse la fragilità di questo disco lo rende ancor più degno d'attenzione. Sognando su onde ecclesiastiche “Dauðalogn” (Morte di Calma) e “Varðeldur” giungiamo a “Valtari” (Rullo Compressore) otto minuti e passa di tutto o nulla, esagerando riproponendo ancora gli stessi temi e stessi profumi, nauseandoci. Ulteriore pecca in chiusura con “Fjögur píanó” (Pianoforte a Quattro) una ninnananna ripetitiva interrotta malamente nel cedere posto agli archi che lasciano cadere sul palco solo false speranze di un finale che non sboccia.
Ci fa riflettere Georg “Goggi” Hólm (bassista) dichiarando: “questo è l'unico album dei Sigur Rós che riesco ad ascoltare con piacere a casa”. Non c'è dubbio che “Valtari” scatenerà atroci guerre tra i fan, mentre il mio unico dispiacere non riguarda l'album in prima persona, bensì l'eclissi che ne consegue, molti valide band ed artisti islandesi hanno pubblicato album fantastici (For A Minor Reflection – Of Monsters and Men – Sin Fang e molti altri) ma il mondo sembra vedere nel panorama islandese sempre gli stessi artisti, posso assicurarvi che c'è molto molto di più.
La soggettività in questo album è massima, il mio parere è il seguente: un gran bell'inizio che va man man dissolvendosi, sembrerebbe quasi per pigrizia, quindi maggiore rabbia, maggiore delusione, più lo si ascolta più ci si pongono domande, si scopre puntualmente qualcosa di nuovo, sensazioni più delicate, nuovi profumi, nuovi panorami e nel frattempo sei stato spudoratamente ipnotizzato.
Voto: ◆◆◇◇◇
Label: Parlophone Records
Certo la radice crepuscolare gioca molto e non da meno l’elaborazione che rasenta la perfezione, implosioni ed esplosioni s’inseguono dentro una clessidra riempita da delicatessen psichedeliche mentre il tempo passa e tutto ruota su se stesso interminabilmente; tracce tenui come a sfiorare il pallido tepore di una “devianza” nuova “En plein air”, cortocircuiti Oldfieldiani “Noise under my wish”, “Monocroma”, suggestioni liriche immaginifiche e di carta paglia “For nothing”, stupende sintomatologie mantriche Afrikaner che copulano con atmosfere di trasfigurazioni alla Momix “Lullaby for lovers”, tensioni d’archi e nuvole cariche di malinconia “Sinfonia per menti distratte primo/secondo/terzo movimento”, il pianoforte che fa da collante con gli arcani vocali della stratificazione sonora delle meglio occasioni “In deep”, come il violino strappacuore di Sara Primiterra che in “Better story” graffia l’animo cheto di chi ascolta.
Sì l’arte degli incantesimi non ha esaurito gli argomenti, i Noise under dreaming – oltre a darcene conferma – ci danno pure un brevetto di volo a tempo determinato per salire senza peso nella verticale sognante del loro giostrare magicamente la gravità terrestre.
Buon volo a tutti!
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: Seahorse Recording
Funziona molto bene l’ombra wave che la band approccia senza abbandoni o isterismi, molto bello anche il tratteggio pulviscolare della grammatica psichedelica di matrice post-Leeds “Easy-goal-up”, personale la coloritura Bowieana d’antan che si dinoccola tra le pieghe di “Videodrome monocrome”, uno strano Marc Bolan che sculetta glam-rock scintillante dentro la distorta “Pah pah Bloody blue” o la delicatezza ambigua che cadenza la melodia di rara bellezza in “What else?”; un disco che sicuramente scatenerà una scia d’intensi ascolti e che potrebbe essere frutto futuro di un beato delirio di massa d’ascolto, non tanto per le sue straordinarietà marcate di rinnovare uno stile fermo sulle concrezioni dell’epoca, ma per l’essenzialità che i Fraulein Alice mettono insieme rabboccando un vissuto sonico esperenziale ed esponenziale, rabbia, elettricità e colori grigio topo in un rutilante quanto soffice “mondo buio” che stringe il cuore e le tempie nello stesso tempo “Ogres in heaven”.
Dalla bella Sicilia una giovane proposta vincente,una giovane ondata di rock-wave rinfrescata, un bell’upgrade stilistico di poca sofferenza e molto, ma molto fascino.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Seahorse Recordings